Talvolta accade – C’è qualcosa di inedito, quasi surreale, nella guerra che si sta combattendo nella Striscia di Gaza. Non per la sua ferocia, né per l’asimmetria evidente tra i contendenti. Ciò che la rende unica, nel panorama dei conflitti moderni, è un dettaglio che ha il sapore della profezia tecnica: questa è una guerra con una data di scadenza. Non si tratta di una forzatura retorica, ma di una realtà concreta, misurabile, verificabile. Per la prima volta, il tempo non è solo la cornice dentro cui si svolge il dramma: è l’arbitro silenzioso che decide il momento in cui il sipario cadrà.
Infatti, secondo stime incrociate tra analisti e fonti di intelligence, Hamas dispone ancora di poche migliaia di razzi, armi leggere e combattenti. Se non arrivano rifornimenti e la pressione militare israeliana continua, la guerra potrebbe esaurirsi naturalmente entro pochi mesi. Più unica che rara una guerra moderna con un orizzonte prevedibile di fine. La guerra di Gaza non è come le altre. Non lo è per il suo teatro chiuso, per la densità esasperata della popolazione, per la simmetria rovesciata del conflitto — un esercito tra i più tecnologici del mondo contro una rete sotterranea armata come un alveare invisibile. Ma c’è un elemento che la rende unica: ha un limite materiale. Ha un esaurimento previsto.
Sono i numeri che parlano – Secondo le analisi più accreditate, Hamas avrebbe iniziato il conflitto con un arsenale di circa 25.000 razzi. Ne ha già lanciati oltre 16.000. Il residuo stimato è attorno agli 8.000, in larga parte rudimentali. Le armi leggere — mitragliatrici, granate, munizioni — partivano da una base di 40.000 unità, e ne resterebbero attive circa 15.000. Anche i droni, usati in numero limitato ma strategico, sono quasi al capolinea. A questi numeri si affianca quello dei combattenti: Hamas contava inizialmente su circa 25.000 uomini armati, ma le stime aggiornate parlano di 10.000 ancora attivi. Le perdite, anche se non sempre verificabili con precisione, sono state massicce. I nuovi reclutamenti non colmano la decimazione.
Il fondo del magazzino – Il tempo, dunque, lavora per l’esaurimento. Secondo una simulazione basata sui ritmi di utilizzo delle risorse (circa 3.000 razzi al mese e 4.000 armi leggere consumate o perse), la capacità offensiva di Hamas potrebbe dissolversi in meno di quattro mesi. Questo senza considerare eventuali colpi decisivi dell’Israel Defense Forces (IDF) o una nuova fase offensiva. Ma anche senza nuovi armistizi o negoziati: la guerra, semplicemente, potrebbe spegnersi da sola. Non è un processo “pulito”: non significa che, finiti i proiettili, scenderà il silenzio. Significa però che la capacità di combattere in modo organizzato e prolungato sarà tecnicamente compromessa. I tunnel, le sacche di resistenza, gli ultimi lanci: tutto questo può durare ancora, ma non all’infinito. Una guerra con data di scadenza, dunque. È un fatto raro nella storia contemporanea, dove i conflitti si trasformano spesso in pantani infiniti. Ma Gaza è un laboratorio chiuso. E ogni magazzino, anche il più capiente, ha sempre un fondo. Finché Hamas conserva una minima capacità offensiva, e Israele non ha ancora compiuto il passo finale verso l’annientamento, esiste un terreno, pur fragile, sul quale intavolare una trattativa. Non una pace definitiva, forse, ma almeno un compromesso di sopravvivenza.
La doppia natura del tempo – Ed è proprio qui che il tempo si rivela nella sua doppia natura: giudice e opportunità. L’orologio della guerra non segna solo l’ora della fine militare, ma anche quella dell’ultima possibilità di trattare prima che non resti più nulla da salvare. È un’occasione rarissima nella storia dei conflitti asimmetrici, dove di solito la fine arriva improvvisa, caotica, senza preavviso. A Gaza, invece, il tempo parla. Dice che non resta molto. E proprio per questo, suggerisce di agire ora, prima che la polvere si depositi su un deserto morale oltre che fisico. Israele, che ha senza dubbio la superiorità tattica e tecnologica, è chiamato a riflettere sulla natura del proprio vantaggio. Perché trasformare una superiorità militare in una cancellazione, sarebbe un errore tanto strategico quanto etico. Hamas, dal canto suo, sa che ogni giorno che passa lo avvicina alla perdita di ogni residua forza contrattuale.
La ragione prima dell’ abisso – E se entrambi i fronti hanno ancora qualcosa da guadagnare da una soluzione, anche minima, anche precaria, quel qualcosa andrebbe cercato ora. Non per generosità, ma per lucidità; non per debolezza, ma per intelligenza. Ci sono guerre che durano per decenni, alimentate da ideologie, orgoglio, alleanze e risorse inesauribili. E poi c’è questa guerra: una guerra con una fine scritta nel consumo stesso della sua macchina bellica. Una guerra che forse, per una volta, ci sta dicendo chiaramente quando finirà. Ma non può dirci come finirà. Perché questo, ed è la parte più terribilmente umana del conflitto, dipende ancora dalla volontà degli uomini. E dalla loro capacità di scegliere la ragione prima dell’abisso.