Washington, 10 giugno 2025 – A distanza di trent’anni dall’ascesa del cosiddetto clintonismo, l’eredità politica ed economica di quella stagione – fondata sulla Terza Via, sulla globalizzazione e sulla deregolamentazione – sembra presentare oggi il suo conto più amaro. Sotto l’apparente successo degli anni ’90 si celavano trasformazioni profonde che hanno rimodellato la società americana e, di riflesso, l’equilibrio globale.
L’origine: la Terza Via e il compromesso post-Guerra Fredda
Bill Clinton, al pari di Tony Blair nel Regno Unito, fu promotore di un nuovo corso del centrosinistra occidentale: la cosiddetta Terza Via, un modello politico che voleva conciliare mercato e diritti, capitalismo e giustizia sociale. In pratica, fu una riformulazione liberale della socialdemocrazia: più vicina alle logiche del mercato, meno vincolata dai sindacati, meno propensa alla regolamentazione statale.
Deregolamentazione e finanza liberata
Una delle riforme simbolo fu la revoca del Glass-Steagall Act nel 1999, che separava le banche commerciali da quelle d’investimento. Questo contribuì a spianare la strada alla crescita senza freni del potere finanziario, culminata con la crisi del 2008. La deregolamentazione divenne dogma, con la convinzione che i mercati si autoregolassero.
La globalizzazione e il tradimento della classe media
L’altro pilastro fu l’apertura ai mercati globali: ingresso della Cina nel WTO (2001, preparato negli anni di Clinton), delocalizzazione produttiva, abbattimento di barriere doganali. Per le grandi aziende americane fu un’occasione d’oro. Per milioni di lavoratori, in particolare della classe media bianca, fu l’inizio della marginalizzazione: fabbriche chiuse, salari stagnanti, identità sociale in crisi.
Il prezzo umano: la sanità, le tutele, i diritti saltati
La retorica meritocratica e individualista della Terza Via finì per indebolire i pilastri dello stato sociale. In America, il sistema sanitario rimase privatizzato e inaccessibile per molti. I lavoratori persero garanzie, protezioni, voce politica. La “mobilità sociale”, un tempo mito fondativo americano, divenne sempre più un’illusione.
Da Clinton a Trump: la reazione populista
Quello che si è scatenato negli anni successivi – dalla rabbia del Tea Party fino all’ascesa di Donald Trump – non è altro che la risposta disperata di una parte dell’America lasciata indietro. Una rivolta culturale e identitaria, prima ancora che economica. La fiducia nelle élite politiche è crollata, e con essa la tenuta della democrazia liberale.
E ora?
Oggi, nel mezzo di nuove crisi – ambientali, geopolitiche, sociali – il modello clintoniano appare superato. Eppure molte sue logiche dominano ancora. Il problema non è solo cosa ha fatto il clintonismo, ma cosa ha impedito di costruire: un’economia equa, una società solidale, una politica capace di rappresentare davvero le maggioranze, non solo le élite.