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Parà italiani per l’ultima missione della seconda guerra mondiale

Il 20 aprile 1945 l’Operazione Herring gettò nello scompiglio le retrovie tedesche consentendo la spallata finale degli Alleati per far crollare la Linea Gotica

Redazione by Redazione
20 Aprile 2025
in Cultura
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Parà italiani per l’ultima missione della seconda guerra mondiale
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I paracadutisti italiani durante la seconda guerra mondiale non vennero lanciati mai su Malta, obiettivo per il quale erano stati addestrati e preparati, e vennero invece mandati a combattere come fanteria sulle sabbie del deserto libico, dove impressionarono per valore sia i tedeschi sia gli inglesi. Le parole “Folgore” e “Nembo” richiamavano quella storia che era ben presente nel tenente colonnello britannico John Marling, al quartier generale dell’8a Armata.

Quando si prospettò il piano dell’attacco decisivo alla Linea Gotica, ebbe lui l’idea di lanciare truppe aviotrasportate italiane dietro le linee tedesche per preservare i ponti dalla distruzione, interrompere le comunicazioni e portare lo scompiglio dove il nemico meno se l’aspettava. Era quella l’Operazione Herring (Aringa), che costituì l’unico aviolancio di paracadutisti italiani sul territorio nazionale e l’ultimo della seconda guerra mondiale.

Tutti volontari della “Folgore” e della “Nembo”

Marling concordò lo Special Air Service (Sas) conil generale Giorgio Morigi, comandante del Gruppo di combattimento Folgore (Squadrone F) inserito nel XIII Corpo d’armata britannico. I paracadutisti erano tutti volontari e avevano seguito per questa missione un apposito corso di addestramento come commandos a cura dello Special Operations Executive. L’operazione entrò nella fase esecutiva nel tardo pomeriggio del 20 aprile 1945, dopo il raduno a Castiglioncello. Vi partecipavano 246 uomini (dello Squadrone F agli ordini del capitano Carlo Francesco Gay e della centuria Nembo comandata dal tenente Guerrino Ceiner) distribuiti su 14 bimotori da trasporto Dakota C-47 dell’aeronautica statunitense e suddivisi in piccoli gruppi autonomi.

Il piano originale prevedeva un’azione complessiva di 36 ore, ma in realtà si protrasse per il doppio di tempo con risultati straordinari e significativi nonostante le difficoltà tecniche incontrate. L’Italian Sas (Isas) era un gruppo ben motivato, ben addestrato e con morale alto. Il volo notturno di avvicinamento venne intercettato da un forte fuoco dell’antiaerea tedesca e i piloti americani, abituati ai trasporti cargo e a volare di giorno, inesperti per quel genere di missione, non seppero gestire la situazione, e così i lanci non vennero concentrati a sud-ovest di Ferrara come previsto sulle cartine, bensì sparsi sui territori di Modena, Bologna e Ferrara dove le pattuglie dovevano colpire con azioni mirate di sabotaggio. L’obiettivo strategico era di ostacolare la ritirata dell’esercito tedesco oltre il Po per evitare una nuova linea di difesa, e di garantire il controllo dei ponti e delle strade per l’attacco in forze alleato.

Tre giorni di furiosi combattimenti e duemila tedeschi presi prigionieri

I paracadutisti credevano in quello che facevano, con grande motivazione, e a riprova ci fu l’atteggiamento dell’equipaggio del Dakota con a bordo il capomissione, il maggiore britannico Alan Ramsey: quando il pilota annunciò che non gli era stato possibile individuare la zona di lancio e quindi sarebbe tornato indietro, gli italiani già pronti all’azione protestarono vivacemente. I sabotatori vennero sparsi in una vasta aerea e questo aumentò nei tedeschi il convincimento che i paracadutisti fossero molti di più di quelli che erano in realtà.

La situazione sul campo, dove i soldati poterono contare sulla guida dei partigiani e anche del supporto di fuoco, trasformò una missione da commandos a tempo limitato in una battaglia spezzettata ma prolungata fino al 23 aprile, con attacchi e contrattacchi, minamenti, interruzione delle comunicazioni tedesche, conquista di ponti, una polveriera fatta saltare in aria, distruzione di blindati e mezzi militari e sconcerto totale tra le linee nemiche. Furono ben duemila i tedeschi che si arresero ai paracadutisti italiani. Gli scontri vennero pagati con la vita di 21 parà, 14 feriti e 10 dispersi, a testimonianza dell’asprezza degli scontri ma anche del valore mostrato dai ragazzi di “Folgore” e “Nembo”.

Il più giovane paracadutista e più giovane medaglia d’oro alla memoria

Tra le ventuno vittime, ben 14 erano i paracadutisti che avevano preso terra nelle campagne di Drangoncello, dove ingaggiarono furiosi combattimenti in una casa che dopo essere stata data alle fiamme verrà chiamata popolarmente Ca’ Brusada. Nessun paracadutista sopravvisse, pur avendo inflitto perdite superiori ai tedeschi, e qui è stato realizzato il memoriale sull’Operazione Herring. Il più giovane militare aveva diciotto anni: Amelio De Juliis, abruzzese, aveva avuto il battesimo del fuoco l’anno prima a Pizzoferrato, come partigiano. Era un bracciante che si era arruolato nell’esercito cobelligerante appena dopo aver conosciuto in Abruzzo i soldati del capitano Gay.

A marzo 1945 si era brevettato paracadutista, il più giovane in assoluto e si era subito offerto volontario per l’Operazione Herring. De Juliis era morto in combattimento a Maccaretolo di San Pietro in Casale (Bologna), falciato da una raffica di mitragliatrice: già ferito, era tornato indietro per recuperare il suo comandante sottotenente Angelo Rosas, e il fraterno amico caporal maggiore Aristide Arnaboldi che si era arruolato con lui. Alla sua memoria verrà assegnata la medaglia d’oro al valor militare, tra i più giovani dell’intero esercito italiano.

Tags: guerraItaliaParàstoria
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