Un premio letterario svela l’eroismo silenzioso dei religiosi in guerra, mentre Parolin lancia un appello globale: «Credere nella volontà di pace»
Nell’aula magna di Palazzo Borromeo, dove i soffitti affrescati sembrano custodire secoli di storia, il cardinale Pietro Parolin ha tracciato una mappa delle ferite del mondo. Gaza e l’Ucraina, due teatri di dolore, due prove per l’umanità. Mentre riceveva il VI Premio Letterario “Ambasciatori presso la Santa Sede”, Andrea Angeli – autore di “Fede, ultima speranza. Storie di religiosi in aree di conflitto” – ha offerto una lente per decifrare quell’enigma: come la fede diventa carne viva nelle zone oscure del pianeta.
«Non è un accordo, è un inizio», ha ammonito Parolin, riferendosi al fragile cessate-il-fuoco nella Striscia. Le sue parole, sospese tra cautela e speranza, riecheggiano le scelte eroiche di chi ha invertito la rotta della paura. Come padre Gabriel Romanelli, superiore della parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza, che da Betlemme ha lottato per tornare tra la sua gente. Mentre migliaia fuggivano, lui e le suore del Verbo Incarnato hanno varcato checkpoint e fili spinati, trasformando la chiesa in un faro di resistenza umana. «Non eroismo, ma testimonianza», ha precisato il porporato: una presenza che sfida la logica delle armi, tessendo reti di sopravvivenza tra i crolli.
Se a Gaza si scrive un possibile preludio alla pace, in Ucraina la guerra sembra un labirinto senza uscita. Parolin ha lanciato un appello velato agli Stati Uniti: «Il dopo-Gaza sia l’alba per Kiev». Un riferimento al presidente Trump, le cui ambigue aperture a Putin non hanno ancora prodotto svolte.
Ma il segretario di Stato vaticano ha scavato più a fondo, rispondendo alle polemiche sulle “gite ad Auschwitz” sollevate dalla ministra Roccella: «Non si visita un lager, si onora una memoria che grida ancora». Un monito contro l’antisemitismo strisciante, che come un virus muta forma senza scomparire.
Andrea Angeli, con la prosa di un cantastorie moderno, ha trasformato cronaca in epopea. I
l suo volume – definito da Parolin «un caleidoscopio di luce nelle tenebre» – ricostruisce gesti che i manuali di storia ignorano. A Baghdad, nell’inverno del 2003, l’ultima messa nella cattedrale di San Giuseppe prima che le bombe la riducessero in macerie. A Sarajevo, i sacerdoti che celebravano messe interreligiose nei sotterranei, mentre i cecchini falcidiavano la città. E in Cile, dopo il golpe di Pinochet, la Vicaría de la Solidaridad: un’alleanza tra cattolici, luterani ed ebrei per salvare i perseguitati, mentre il regime imbiancava le fosse comuni.
Padre Mariano a Nassiriya, che piantò una croce di legno alta cinque metri davanti a una tenda-chiesa, sfidando le milizie. Padre Gerard Hammond, missionario in Corea del Nord, che per anni ha oltrepassato il confine per curare malati di tubercolosi, nascondendo i farmaci nelle pieghe del saio.
Sono cartografie di un’umanità che rifiuta i confini, mappe disegnate con il Vangelo in una mano e il coraggio nell’altra. «Non servono trattati di geopolitica», ha osservato Davide Dionisi, inviato per la libertà religiosa: «Qui si impara che la pace è un verbo coniugato al presente».
Il discorso di Parolin ha sciolto il nodo tra politica e spiritualità: «La carità non è assistenzialismo, è sovversione». Quando i sacerdoti restano a Gaza o a Kiev, non compiono un gesto devozionale ma politico nel senso più nobile: smascherano l’assurdità della guerra. Come i monaci nella Sarajevo assediata, che trasformavano i rifugi in scuole, o suor Maria Elena nella Striscia, che distribuisce farmaci stringendo accordi con imam e leader laici. «Sono peacekeeper senza stellette», ha chiosato Angeli: «La loro arma è la coerenza».
Mentre i riflettori si spengono su Palazzo Borromeo, resta una domanda: come tradurre queste storie in politica? Parolin non offre ricette, ma una bussola: «Credere che esista, in ogni parte in lotta, una volontà di bene».
Forse è questa la diplomazia vaticana: non trattative segrete, ma la paziente tessitura di legami che i potenti non vedono. Come il filo che unisce le suore di Gaza ai sopravvissuti di Auschwitz, i preti ucraini ai martiri cileni. Una trama invisibile che, libro dopo libro, gesto dopo gesto, prova a rammendare il mondo.
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