Il TNP nella Tempesta Globale: dopo “Operation Midnight Hammer” il disarmo è un miraggio
di Cristina Di Silvio
Nel 1970 fu firmato il Trattato di Non Proliferazione Nucleare con una promessa ambiziosa: fermare la diffusione delle armi atomiche e costruire un mondo più sicuro. Oggi, quella promessa suona come una beffa. La proliferazione è viva, i trattati cadono a pezzi, le potenze nucleari modernizzano i loro arsenali… e la guerra nucleare torna a essere una minaccia concreta. Stiamo ancora parlando di prevenzione o già assistendo al preludio di un collasso? Tre erano i pilastri: non proliferazione, disarmo, uso pacifico dell’energia nucleare. In cambio della rinuncia all’atomica, agli Stati “non armati” veniva garantito l’accesso alla tecnologia civile e la rassicurazione – teorica – che le cinque potenze nucleari storiche (USA, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) avrebbero, un giorno, avviato il disarmo. Ma quel giorno non è mai arrivato. E ora nessuno ci crede più. Oggi gli arsenali vengono aggiornati, potenziati, miniaturizzati. Gli accordi sul controllo degli armamenti saltano uno dopo l’altro. E le parole “disarmo” e “buona fede” sono diventate formule ipocrite che nessun leader serio osa più pronunciare senza imbarazzo. Ma è con l’Iran che il castello del TNP scricchiola davvero. Il 22 giugno, gli Stati Uniti hanno colpito duramente tre siti nucleari iraniani – Fordow, Natanz, Isfahan – con un’operazione militare chirurgica, ma dal potenziale destabilizzante: Operation Midnight Hammer. Si è trattato solo di un raid preventivo? O della prima crepa irreversibile nell’illusione del contenimento? Teheran si è risvegliata sotto shock, evacuando materiale sensibile e promettendo “una risposta proporzionata e duratura”. Intanto, il mondo si interroga: è questo l’inizio della fine del TNP?La Corea del Nord, ormai fuori da ogni schema legale, osserva e rafforza la sua postura offensiva. Pyongyang non ha bisogno di chiedere il permesso a nessuno: è una potenza nucleare a tutti gli effetti. La sua lezione? Chi ha la bomba non subisce attacchi. E chi non ce l’ha? Meglio pensarci in fretta. India, Pakistan e Israele non hanno mai firmato il trattato. E nessuno ha mai osato davvero metterli in discussione. Così, mentre le regole valgono solo per alcuni, cresce l’idea che il TNP sia una gabbia costruita per mantenere lo status quo, non per rendere il mondo più sicuro. Un accordo che protegge i forti e punisce i disciplinati. Nel 2021 è entrato in vigore il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN), firmato da oltre 90 Paesi. Un gesto coraggioso, ma simbolico. Nessuna potenza nucleare l’ha sottoscritto. Nessuna ha intenzione di farlo. Il TPAN non è un regime efficace, ma un grido politico: “Siamo stanchi della vostra ipocrisia”. E quel grido, nel Sud globale, si fa ogni giorno più forte. E poi c’è il capitolo più inquietante: le armi nucleari tattiche. Piccole, “utilizzabili”, pensate per scenari locali, conflitti limitati, escalation controllata. Ma è davvero possibile controllare l’escalation quando si tira in ballo l’atomo? Queste armi non rafforzano la deterrenza: distruggono il confine psicologico tra l’impensabile e il possibile. Nel frattempo, la diplomazia è in panne. Il vertice di revisione del TNP del 2026 si avvicina come un evento formale privo di slancio, mentre il mondo si prepara a una nuova realtà: la proliferazione è tornata. Silenziosa, razionale, giustificata dalla sicurezza nazionale. Quale Stato sarà il prossimo a seguire la strada nordcoreana? A chi conviene davvero restare legato a un trattato che non protegge, non disarma e non funziona più? E soprattutto: siamo ancora in tempo per fermare una nuova corsa all’atomica, o stiamo solo prendendo tempo prima del prossimo shock? Il TNP non è morto. Ma è sotto attacco. Non da un nemico esterno, bensì dall’erosione lenta ma inesorabile della fiducia, della coerenza e della volontà politica. La vera domanda è: quanto manca prima che l’atomica torni a essere moneta corrente della geopolitica?
