Tra le navate del santuario di via Legnani, avvolto da un silenzio carico di devozione, il cardinale Pietro Parolin ha dipinto con parole d’oro il ritratto di un’umanità capace di sfidare i diluvi della storia.
Nella solenne celebrazione per il bicentenario della nascita del Beato Luigi Maria Monti, il Segretario di Stato vaticano ha trasformato una liturgia in un manifesto universale: «Le grandi acque non potranno spegnere l’amore».
Un verso del Cantico dei Cantici, evocato con la maestà di chi conosce il peso della Storia, è diventato colonna sonora di una giornata in cui la pioggia torrenziale ha inchiodato Saronno al caos, ma non ha scalfito la fiamma accesa due secoli fa dal fondatore dei Figli dell’Immacolata Concezione.
La chiesa gremita — fedeli in preghiera, autorità civili e religiose in prima fila — ha offerto uno spettacolo di rara unità. Tra i presenti, il prefetto di Varese Salvatore Pasquariello, la sindaca Ilaria Pagani e il vescovo ausiliare di Milano Luca Raimondi hanno ascoltato in silenzio le parole di Parolin, tessitore di ponti tra cielo e terra. «Qui si è accesa una fiamma che da Saronno ha illuminato il mondo», ha proclamato il porporato, indicando l’altare dove riposano le spoglie del Beato Monti.
Un richiamo alla carità che, come fiume in piena, ha travolto ogni ostacolo: gli allagamenti, il traffico paralizzato, le strade trasformate in specchi d’acqua.
Ma nessuna forza della natura ha potuto contro l’eredità di un uomo che dedicò la vita ai malati e ai fragili.
Pietro Parolin, da anni pilastro della diplomazia vaticana, ha dimostrato ancora una volta perché la sua figura trascende i ruoli istituzionali.
Con eleganza da principe della Chiesa, ha intrecciato omelia e storia, citando le Scritture con la precisione di un teologo e parlando alla gente con la semplicità di un pastore. Il ringraziamento alla città — «Saronno è casa» — non è stato mera formalità, ma riconoscimento a una comunità che, come Monti, ha fatto della cura per l’altro la sua bandiera.
Il cardinale ha sciolto ogni distanza tra il palazzo apostolico e una provincia lombarda, trasformando il santuario in un microcosmo della Chiesa globale: preghiere in francese, vietnamita, spagnolo, echi di un cattolicesimo che respira con i polmoni dei cinque continenti.
Padre Aurelio Mozzetta, voce della congregazione, ha ricordato come dal carisma di Monti siano sbocciate opere in Europa, Americhe, Africa e Asia.
Ma è Parolin ad aver dato corpo a questa eredità, collegando il passato al futuro con la forza di un visionario. «La carità non è un ricordo, ma un verbo al presente», ha sottolineato, mentre fuori la pioggia martellava come monito di fragilità umana.
Il bicentenario si chiude così non come una rievocazione, ma come un nuovo inizio: progetti per ospedali, centri di accoglienza, reti di solidarietà che già germogliano dal Brasile alle Filippine, passando per le periferie esistenziali di Roma e Milano.
Mentre l’organo intonava l’Ave Maria, Parolin ha posato una rosa bianca sulla tomba del Beato, gesto semplice e potente come il suo messaggio: «Ogni tempesta del dolore si placa quando l’amore diventa architettura». Saronno, ieri travolta dall’acqua, oggi risorge simbolo di una fede che costruisce dighe contro l’indifferenza.
E il mondo, in quel santuario diventato faro, ha ritrovato una verità antica: persino le nuvole più nere, davanti a un cuore che dona, si squarciano in aurora.
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