Nella luce dorata di un ottobre romano, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù si conferma faro globale di scienza e compassione.
Mentre celebra i 40 anni dal riconoscimento come Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (1985-2025), il nosocomio vaticano svela un mosaico di eccellenze: dal laboratorio di terapia genica appena inaugurato all’accoglienza di 31 giovani palestinesi strappati alle macerie di Gaza. Un equilibrio unico tra etica, tecnologia e solidarietà che il cardinale Pietro Parolin definisce «risposta concreta alla sofferenza, dove ogni bambino è il volto di Cristo».
Mentre i conflitti infiammano il Mediterraneo, il Bambino Gesù trasforma le cure in atti diplomatici. Tre piccoli pazienti da Gaza sono già ricoverati tra il Gianicolo e Palidoro, altri tre in arrivo questa settimana. «Casi di massima complessità — rivela il presidente Tiziano Onesti — curati insieme alle loro famiglie, perché nelle zone di guerra gli ospedali non esistono più». Un modello che supera i confini della medicina: qui la ricerca diventa ponte culturale, la terapia genica si fonde con l’accoglienza umanitaria.
Il cardinale Parolin, rievocando il miracolo del paralitico di Cafarnao, traccia un parallelo audace: «La scienza è quell’amico che sfonda i tetti quando ogni via sembra chiusa». Non a caso, proprio oggi prende vita un avveniristico laboratorio di 700 mq dove cellule modificate geneticamente combattono tumori pediatrici, mentre i medici perfezionano tecniche di stampa 3D per organi in miniatura. Un ossimoro virtuoso: alta tecnologia al servizio della fragilità estrema.
Il volo iniziato nel 1986 con il primo trapianto di cuore pediatrico in Italia oggi sfiora vette inimmaginabili. Andrea Onetti Muda, direttore scientifico, dipinge un prima e dopo epocale: «Negli anni ’80 le terapie erano rudimentali, ma già coltivavamo il sogno di unire ricerca e clinica». Quel sogno ha prodotto 1.832 studi internazionali, 58 brevetti registrati e — soprattutto — decine di migliaia di bambini restituiti alla vita. Come i piccoli trattati con la prima terapia genica per tumori solidi (2018), caso-studio ora insegnato nelle università di mezzo mondo.
Ma la vera rivoluzione, sottolinea Parolin, sta nell’«alchimia tra competenze». Nei reparti dove genetisti dialogano con teologi, ingegneri biomedici progettano protesi accanto a psicologi infantili. Un ecosistema in cui persino la perfusione extracorporea — tecnica usata per preservare organi trapiantati — viene riadattata per salvare neonati prematuri.
«Qui non si calcolano costi-benefici, si salvano esistenze», sintetizza il ministro della Salute Orazio Schillaci. Un mantra che guida scelte coraggiose: dall’investimento in robotica chirurgica all’apertura di corridoi umanitari per i bambini siriani, ucraini, sudanesi. Francesco Rocca, presidente della Regione Lazio, parla di «investimento etico» in un’istituzione che «protegge l’infanzia dove altri la bombardano».
E mentre il sindaco Gualtieri esalta il ruolo di Roma come capitale della medicina rigenerativa, Onesti svela il segreto del successo: «Non contano i numeri, ma la capacità di trasformare ogni scoperta in relazione». Come dimostra il progetto sulla “firma infiammatoria” nelle malattie reumatologiche: algoritmi di intelligenza artificiale decifrano marcatori biologici, ma è l’abbraccio alle famiglie a completare la guarigione.
Con il nuovo laboratorio di terapia genica, il Bambino Gesù scrive il prossimo capitolo della medicina personalizzata. Farmaci “su misura” creati ex novo, terapie cellulari per malattie rare fino a ieri considerate incurabili. Una sfida che Parolin lega all’eredità di san Pier Giorgio Frassati: «Mettere la nostra salute al servizio di chi non l’ha».
Mentre il sole cala sul San Paolo, tra le sale dove risuonano lingue e preghiere di ogni continente, un dettaglio colpisce: accanto alle incubatrici ipertecnologiche, statuette della Madonna regalate dai genitori. Simbolo di un’utopia che funziona: l’avanguardia può avere un cuore antico, la scienza diventare atto d’amore. Perché — come sussurra una neonatologa mentre sistema il cappellino a un bimbo palestinese — «qui non salviamo cellule, salviamo destini».
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