Nel 2025 il mondo brucia, e lo fa in silenzio.
Più di 110 conflitti armati sono in corso, ma solo pochi finiscono nei titoli.
Eppure, ovunque, le conseguenze sono le stesse: infanzie distrutte, culture annientate, corpi segnati dalla fame e dalla violenza.
Gaza è l’epicentro di una crisi umanitaria devastante. Con oltre 54.000 morti, ospedali distrutti e solo il 4% della popolazione che riceve razioni alimentari regolari, la fame è diventata un’arma. I bambini muoiono disidratati a pochi metri da camion umanitari bloccati.
Qui, i trattati internazionali sono solo carta straccia. In Darfur, il corpo delle donne è diventato un campo di battaglia. In soli tre mesi, 659 casi di violenza sessuale sono stati documentati.
Ma i numeri reali sono molto più alti. È in corso una pulizia etnica, con modalità che ricordano il Rwanda del 1994. In Myanmar, i Rohingya tornano a vivere l’incubo: villaggi bruciati, deportazioni, esecuzioni.
Oltre 45.000 sfollati solo nei primi sei mesi del 2025. Una tragedia invisibile, come lo fu il Kosovo – ma senza telecamere.
Nagorno-Karabakh assiste a un esodo silenzioso: oltre 100.000 armeni costretti a fuggire tra fame e minacce. Un genocidio culturale sotto gli occhi dell’ONU.
Nell’Est del Congo, si combatte per oro, coltan e diamanti. Oltre 178.000 sfollati nel 2025.
Qui, lo stupro è arma strategica: 1 villaggio su 3 colpito da violenze sessuali.
È il conflitto più letale dopo la Seconda Guerra Mondiale – e uno dei meno raccontati.
In Darfur Occidentale, il popolo Masalit viene sterminato con una precisione atroce. Villaggi cancellati, case incendiate con persone dentro, fosse comuni. È il Rwanda, di nuovo. Solo che il mondo, oggi, guarda altrove. Intanto, il Myanmar è in guerra con se stesso: dopo il colpo di Stato del 2021, oltre 2.400 attacchi aerei hanno colpito civili. E nessuno è innocente. Ma a pagare sono sempre gli stessi: i più fragili. Il filo rosso? I civili. Colpiti perché deboli, perché non combattono. Le donne vengono violentate per spezzare intere comunità. I bambini muoiono non solo per le bombe, ma per la fame pianificata. Non serve essere esperti di geopolitica. Serve solo empatia. Il dolore è universale. L’indifferenza, no. Oggi, Gaza, Darfur, Congo ci parlano la stessa lingua di Auschwitz, Srebrenica, Kigali. Dire “mai più” non basta. Bisogna ascoltare. Ricordare. Agire. “Il contrario dell’amore non è l’odio. È l’indifferenza.” Elie Wiesel.
Nel 2025, l’indifferenza è il miglior alleato della barbarie. Davanti a una madre che stringe il corpo del proprio figlio, non esistono bandiere. Solo la scelta: umanità o silenzio. Raccontare oggi non è un atto di coraggio. È un dovere.
Dr.ssa Cristina Di Silvio
Esperta di relazioni Internazionali Istituzionali e geopolitiche


