C’è un cancro che corrode le fondamenta dell’Italia, un male silenzioso che si è trasformato in metastasi sociale ed economica: il sistema universitario privatizzato, dei master a pagamento e delle scuole di formazione che promettono carriere, ma in realtà vendono illusioni.
Generazioni di giovani vengono spinte a investire cifre enormi in corsi post-laurea, master, specializzazioni. Le famiglie si indebitano, i ragazzi rinunciano a esperienze di vita, inseguendo la promessa che quel titolo rappresenti la chiave d’accesso al mondo del lavoro qualificato. Ma la verità, amara e crudele, è che questi percorsi si trasformano spesso in vicoli ciechi: a meno che non si appartenga a determinate cricche di potere, reti massoniche, logge dell’Opus Dei o altri circuiti di raccomandazione.
Chi resta fuori da questi giri protetti si ritrova con un pezzo di carta costato migliaia di euro, ma senza reali prospettive di inserimento. È un meccanismo perverso: università e istituti privati lucrano sulla speranza, mentre il mercato del lavoro – già asfittico e distorto – non assorbe le competenze. Il risultato è una generazione tradita, costretta a emigrare, a vivere di lavori precari e malpagati, oppure a rinunciare del tutto a progetti di vita autonoma.
L’Italia è diventata una fabbrica di illusioni accademiche. Non conta la qualità, non conta la meritocrazia, non contano l’impegno o il sacrificio: conta solo chi ti conosce, a quale rete appartieni, chi ti spalanca le porte di un concorso truccato o di una poltrona riservata.
Il sistema è deficitario, corrotto e in putrefazione. Ogni anno peggiora, ogni anno cresce la distanza tra l’investimento in istruzione e la possibilità di un lavoro dignitoso. La metastasi è evidente: i giovani se ne vanno, il capitale umano si disperde, e chi resta viene umiliato da stipendi ridicoli, sfruttamento e assenza di tutele.
È imminente un crollo. Non si tratta di semplice pessimismo, ma di realtà: senza una rivoluzione culturale e politica, senza una rottura radicale con questa logica del profitto accademico e della cooptazione clientelare, l’Italia rischia di morire soffocata da un sistema che divora i suoi stessi figli.
Non è più tempo di silenzi. È tempo di denunciare con forza che l’università non può essere un bancomat, che il merito non può essere sostituito dal privilegio, che i giovani non possono essere carne da macello per un’industria del sapere che non porta a nulla.
Questo Paese è malato. E se non curiamo ora la malattia, il destino sarà solo uno: la metastasi divorerà tutto.


















