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L'ultimo Serenante. Due edizioni di Rugantino e tutto l'amore per Roma

L'intervista ad Andrea Perrozzi. In attesa di Broadway

Redazione by Redazione
4 Aprile 2014
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L'ultimo Serenante. Due edizioni di Rugantino e tutto l'amore per Roma
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Rugantino e il suo Serenante, Andrea Perrozzi

Andrea Perrozzi,  quarantenne molto romano, freschezza di un ragazzo, cantautore e attore, impegnato in ambito teatrale ma di certo più conosciuto come “il Serenante”, o meglio l’ultimo serenante di Rugantino: nello storico Teatro Sistina di Roma, al fianco di Enrico Brignano, ha omaggiato con maestria d’interpretazione e magia della voce, i suoi precettori, come Aldo Donati e Lando Fiorini, a cui era affidato l’importante ruolo di aprire la più amata tragi-commedia del teatro italiano, stornellando con saggezza narrativa il “Tirollallero” di apertura, sulle note di Armando Trovajoli.

Eccolo qui l’ultimo erede, a svelarci qualche emozione.  Ora sempre in scena con Rugantino a Milano, al Teatro degli Arcimboldi, fino al 13 Aprile, e in attesa del grande debutto il 12 Giugno a Broadway, come nel lontano ’64 durante la prima edizione newyorkese che vedeva protagonisti Aldo Fabrizi, Lea Massari, Nino Manfredi, Lando Fiorini, Bice Valori. Andrea ha preso parte a ben due edizioni di Rugantino, riconfermandosi Serenante. 

 Se potesse in qualche modo riassumerci entrambe le esperienze come le descriverebbe?

«Ho avuto la grande fortuna di aver “vinto” le audizioni nel 2010, e per tutto il lungo periodo di repliche, ho vissuto una specie di trance agonistica. Vivevo lo spettacolo con grande concentrazione e riverenza, e spesso dimenticavo di divertirmi in scena e nei panni del mio personaggio. La seconda edizione invece è stata la conferma del mio buon lavoro ed è stata davvero gratificante. Questa volta mi sono goduto appieno ogni singolo minuto ed è stata, senza dubbio, una delle esperienze più belle della mia vita».

Che emozione ha prevalso quando ha saputo di essere stato scelto come serenante? Immagino che generazioni di ‘Rugantini’ le siano passate davanti dandole il senso storico e artistico del ruolo che andava a ricoprire ed anche dell’incommensurabile poesia. Basti pensare a “Tirollallerò” e a “Ciumachella de Trestevere”.

«Una gioia indescrivibile! Lacrime di felicità.  È stata quasi una liberazione. Sentivo di essermi preso qualcosa che sentivo mio di diritto,  per il semplice fatto che lo sognavo da bambino. Quanti appostamenti davanti al Sistina a fantasticare di entrare dalla porta principale nei panni del Serenante di Roma e di poter cantare quelle canzoni che sentivo cantate da Aldo Donati. La sera in cui ho saputo di essere stato scelto, mi trovavo al concerto di Renato Zero e avevo portato i miei genitori a conoscere questo grande Artista. Appena appresa la notizia feci un salto di gioia in un punto della canzone in cui, vi assicuro, non ci stava proprio! A seguire, notte insonne».

Si sente molto legato alla “romanità” e alla tradizione. Come intravede il futuro del teatro romano?

«Sono innamorato di questa città e delle sue rughe. Amo la Tradizione Romana e mi sento orgoglioso di rappresentarla. Purtroppo non abbiamo, noi Romani, una storia musicale importante come quella Napoletana, veri Maestri ed esportatori in tutto il mondo della musica popolare. Probabilmente è stato proprio Armando Trovajoli a scriverne le note più importanti. Prima di lui avevamo più che altro una tradizione di “Stornellatori”, a dispetto soprattutto,  anche se vantiamo nel nostro repertorio tra le più belle Serenate d’amore, che hanno fatto e faranno innamorare tanta tanta gente. Il futuro del Teatro Romano è purtroppo legato ad un crescente disinteresse del pubblico verso questa meravigliosa forma d’arte. Si fa sempre meno per portare gente a Teatro. La classe politica ci spinge verso la chiusura, con continui tagli alla cultura e allo spettacolo, costringendo i Teatri a produrre sempre meno, quindi a dover ospitare compagnie che devo sostenere costi elevatissimi, quindi costretti a loro volta a dover “usare” nomi o nometti più o meno noti al pubblico pur di fare cassa, e spesso a discapito della qualità. Questo lascia davvero poco spazio ai tanti giovani talenti, ed il pubblico è un bambino che va trattato bene».

Cosa prova in vista della trasferta di Rugantino a New York? Che emozioni le suscita l’idea di trovarsi davanti ad un pubblico americano?

«Chi non ha mai sognato di esibirsi a Broadway? Di Cantare e Recitare a New York!? Nel Tempio del Musical, nella bocca del lupo! Come ci sentiamo? Elettrizzati, eccitati, emozionati, fortunati! Sicuramente anche un po’ spaventati ma fieri di portare la vera tradizione Romana in America. Il primo e unico spettacolo italiano portato al successo negli Usa ben Cinquanta anni fa. Fieri e sicuri di noi stessi, perché loro saranno pure bravi, ma il cuore Romano non ce l’ha nessuno».

Pensa che Rugantino possa essere amato ovunque nonostante lo scoglio della lingua romanesca del 1800? Autentico fascino della commedia.

«Certo che sì. Rugantino è chiunque. Le ultime battute di questa Tragi-commedia dicono che a Roma “semo tutti Rugantini“. Tutti co’ la voja de sembrà duri, screpanti..gente che ce sanno fa. E chi al mondo non vorrebbe essere cosi? Un Rugantino divertente, scanzonato e che diventa eroe agli occhi della sua amata? Chiunque può amare questo spettacolo».

Ci racconti dell’amicizia e l’affetto per Armando Trovajoli…

«Armando Trovajoli è stato un Maestro. Per quanto poco posso averlo vissuto ,mai nessuno mi darà così tanto. Mi ha voluto fortemente,  si è commosso sentendomi cantare, mi sono commosso ammirando la sua direzione d’orchestra, Tanto da non guardare avanti verso la platea ma in basso verso la buca. Al nostro secondo incontro mi ha detto;  ” Perrozzi, ho avuto il piacere di ascoltarla una volta e ho il piacere di ascoltarla ancora”. Poi mi ha abbracciato e rivolgendosi verso i Maestri d’orchestra, si è asciugato le lacrime ed ha detto “Signori… lui è il nostro serenante”. È stata una fortuna ed un onore indescrivibile aver conosciuto e condiviso arte con il Maestro Armando Trovajoli».

Cosa vuol dire di queste musiche e testi di Rugantino che sembrano ormai appartenere all’immortalità di un immaginario collettivo?

«Posso solo dire che si tratta di un’Opera perfetta. C’è tutto il Romanticismo, il dramma e la comicità, l’ironia ed anche la violenza della Roma di quei tempi. Nei testi riconosco tutta la geniale vena ironica di Gigi Magni, autore insieme alla solida coppia Garinei e Giovannini, Franciosa e Festa Campanile. Delle musiche non si può far altro che ascoltare ed apprezzarne la meraviglia».
Che sensazione ha provato durante la prima, quando fu proprio Trovajoli a dirigere l’orchestra?

Il Serenante

«Una forte emozione, ma anche stupore nel vedere quanta energia mettesse ancora il Maestro nel dirigere. Lui cantava a squarciagola mentre dirigeva la sua Orchestra ed era un trascinatore. Aveva una marcia in più e nonostante avesse già più di novanta anni, diventava il più ragazzino di tutti. Poi rimetteva le mani in tasca, come fossero delle armi fumanti appena usate, e tornava l’uomo burbero che era».
Lei è il serenante di “Tirollallero” e” Ciumachella”…  Com’è questa Ciumachella per lei?
«La mia Ciumachella è un pensiero. È un ombra dietro alla finestra. È colei che merita quella melodia ammaliante e quelle parole delle quali è impossibile non innamorarsi. È una bellezza che il pittore non riesce a pitturare, una sciccheria, l’ottava meraviglia de Roma mia… ecco… Ciumachella è Roma mia. Il mio amore smisurato verso questa Città».
 
 
 
* di Silvia Buffo


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