Divide in tutti i sensi l’ultimo film del regista italiano vincitore dell’Oscar per La Grande Bellezza.
A Cannes ha ricevuto applausi ma anche qualche dissenso. Così come tra il pubblico c’è chi riesce ad apprezzarlo perché non racconta una storia, suggerisce emozioni. E c’è chi ne rimane infastidito perché sembra un film con scene sconnesse che bisogna cercare di ricostruire.
Anche il tempo è inesorabilmente diviso in due, passato e futuro. Giovinezza e vecchiaia.
La divisione è netta anche nell’ambientazione. Chi è in questo albergo termale sulle Alpi svizzere è lontano, diviso, separato dal mondo che è fuori.
Anche i due protagonisti ottantenni, sono contrapposti nel loro modo di pensare e di vedere la vita. Due vecchi artisti, un musicista e un regista, arrivati alla fine della loro carriera a mostrare la costante duplicità, la volontaria contraddizione permanente del film.
Il compositore e direttore d’orchestra non vuole più esibirsi, neanche su invito della Regina d’Inghilterra, l’altro, il regista invece vuole realizzare il suo ultimo film, il suo testamento letterario. Ma alla fine succederà il contrario, il primo accetterà l’invito e il secondo rinuncerà al suo ultimo sforzo cinematografico.
I soggetti principali sono tutt’altro che giovani, ma Youth non è un ossimoro. «Il tempo è l’unico soggetto possibile», ha dichiarato Paolo Sorrentino a Cannes, «l’unica cosa che veramente ci interessa: quanto passa il tempo e quanto ce ne rimane. A qualsiasi età se si riesce a mantenere uno sguardo sul futuro si può essere giovani. È un film molto ottimista».
Ma in Youth oltre al tempo ritroviamo tutte le ossessioni di Sorrentino: l’arte, l’amicizia, l’amore, la vita, la morte, la leggerezza, “che è una tentazione irresistibile, ma anche una perversione” fa dire a uno dei personaggi.
Accanto ai due protagonisti, rifugiati al riparo dalla vita, ospiti di questo resort di lusso, c’è una galleria di personaggi contraddittori e paradossali come un Maradona claudicante, obeso, sofferente che sa ancora usare il mancino – la scena nel campo da tennis è un vero capolavoro – e che nonostante la sua estrema decadenza fisica rispetto al mito che è stato in passato, alla domanda della compagna che gli chiede «Cosa pensi?», risponde «Al futuro».
C’è una Miss Universo che si presenta sciatta e infagottata ma sagace e intelligente e nella scena finale della piscina termale si rivela poi in tutta la sua sfolgorante bellezza e giovinezza.
C’è la figlia del musicista che a quarant’anni vede cadere le proprie certezze sentimentali e sessuali e si ritrova in balia dell’ansia per il futuro, c’è il monaco buddista perennemente assorto nella sua meditazione trascendentale, che alla fine verrà premiata con la levitazione alla quale oramai non credeva più nessuno.
C’è uno scalatore malinconico e solitario dalla barba lunga che la soluzione all’ansia la trova sospeso sul baratro, una coppia di mezza età indecifrabile che non parla mai, c’è un giovane attore californiano che tutti ricordano per una sua interpretazione che però lui detesta.
Questi e tanti altri personaggi Sorrentino li inserisce in un film che è fondato sull’importanza del desiderio in quanto tale – non importa se realizzato e come – e sull’incomprensione di sé e degli altri, sull’inevitabile imperfezione di ognuno di noi, sulla crudele incompletezza delle nostre vite in cui, come fa dire a uno dei personaggi «ci sentiamo sempre protagonisti e, in realtà, siamo solo sfocate comparse sullo sfondo. Meravigliose ma inutili, come a volte i nostri sforzi».
Daniela Gabriele