Dal marzo del 1978 in Italia ma anche in tutti i territori dell’emisfero terraqueo la Repubblica non c’è, anche se formalmente tutti gli Stati che si sono costituiti usano la denominazione di “Repubblica”. E’ sufficiente rilevare che tutti gli Stati africani liberati dal dominio dei predatori occidentali, colonialisti ed imperialisti, hanno deliberatamente assunto questa denominazione di “Repubblica”, come la parallela “democrazia” una aspirina omnicomprensiva che serve per tutti i mali e tutte le gioie, dove viene somministrata nelle giornate della memoria e nelle celebrazioni mortuarie.
Gli uomini della “fermezza”, del “non ci faremo intimidire”, della “legalità per gli altri a tutti i costi”, gli eroi buonisti del whatever it takes, sono cavalieri dai tratti patetici predicatori della drammatizzazione dell’insignificante, declamatori di inventati avvenimenti ritenuti storici per un contributo al pagamento delle bollette aumentate oltre il limite della sopportabilità per servire gli interessi dei Signori delle guerre.
Lui, il Prof. Aldo Moro, un carattere che lo rende “scomodo”, una personalità oltre le stelle, perché mai silenziosamente allineato, segna una differenza che pagherà con il rapimento e gli ultimi dolorosi 55 giorni di prigionia, in cui il Prof. Aldo Moro si rende conto di non essere solo ostaggio delle Brigate rosse, ma anche di uno Stato che scoprirà essere troppo diverso da sé. Lui che era un uomo del dialogo, convinto che nessuno, mai, dovesse essere abbandonato a se stesso. Dello studio di Via Savoia 88 (abitavo in via Savoia 90, come in Via Gradoli) al prossimo articolo.
“In principio tutto il mondo era l’Amarica” e forse può essere utile volgere lo sguardo agli Stati Uniti per cercare qualche verità considerato che il Profeta della Pace universale, il Prof. Aldo Moro, si preoccupava di rassicurare i c.d. amici americani che il suo progetto delle convergenze parallele, che pochissimi hanno compreso nella sua logica matematica, non avrebbe minimamente inficiato il rapporto di collaborazione e di amicizia con il popolo americano, ma anzi avrebbe esaltato i primati conquistati dall’America in tutti i campi. Ma gli americani sono nati sceriffi. I fratelli Kennedy sono stati assassinati dagli stessi americani.
Le Brigate Rosse proposero, attraverso il comunicato n. 8, di scambiare la vita di Moro con la libertà di alcuni terroristi in quel momento in carcere, il cosiddetto «fronte delle carceri», accettando persino di scambiare Moro con un singolo brigatista incarcerato, anche non di spicco, pur di poter aprire trattative alla pari con lo Stato. Un riconoscimento venne comunque ottenuto quando in data 22 aprile Papa Paolo VI rivolse un drammatico appello pubblico col quale supplicava «in ginocchio» gli «uomini delle Brigate Rosse» di rendere Moro alla sua famiglia e ai suoi affetti, specificando tuttavia che ciò doveva avvenire «senza condizioni».
La politica si divise in due fazioni: da una parte il fronte della fermezza, composto dalla DC, dal PSDI, dal PLI, e con particolare insistenza dal Partito Repubblicano (il cui leader Ugo La Malfa proponeva il ripristino della pena di morte per i terroristi), che rifiutava qualsiasi ipotesi di trattativa, e il fronte possibilista, nel quale spiccavano il Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi, i radicali, la sinistra non comunista, i cattolici progressisti come Raniero La Valle, uomini di cultura come Leonardo Sciascia. Gli estremisti del «no» alla trattativa, anche se con atteggiamenti diversi, erano PCI e MSI. All’interno dei due schieramenti sussistevano tuttavia posizioni in dissenso con la linea ufficiale: una parte della DC era per il dialogo, tra cui il Presidente della Repubblica Giovanni Leone (che fino all’ultimo si disse pronto a concedere la grazia alla brigatista detenuta Paola Besuschio, se ciò avesse potuto impedire l’uccisione di Moro) e il Presidente del Senato Amintore Fanfani; nel PCI Umberto Terracini era per un atteggiamento «elastico»; tra i socialdemocratici Giuseppe Saragat era in dissenso dalla posizione ufficiale del segretario Pier Luigi Romita; infine, tra i socialisti Sandro Pertini dichiarò di non voler assistere al funerale di Moro ma neppure a quello della Repubblica.
Secondo il fronte della fermezza, la scarcerazione di alcuni brigatisti avrebbe costituito una resa da parte dello Stato, non solo per l’acquiescenza a condizioni imposte dall’esterno, ma per la rinuncia all’applicazione delle sue leggi e alla certezza della pena; una trattativa coi rapitori inoltre avrebbe potuto creare un precedente per nuovi sequestri, strumentali al rilascio di altri brigatisti, o all’ottenimento di concessioni politiche e, più in generale, una trattativa con i terroristi avrebbe rappresentato un riconoscimento politico delle Brigate Rosse; di contro la linea del dialogo avrebbe aperto alla possibilità di una rappresentanza partitica e parlamentare del loro braccio armato, e posto questioni di legittimità in merito alle loro richieste. I metodi intimidatori e violenti, e la non accettazione delle regole basilari della politica, ponevano il terrorismo al di fuori del dibattito istituzionale, indipendentemente dal merito delle loro richieste.
Prevalse il primo orientamento, anche in considerazione del gravissimo rischio di ordine pubblico e di coesione sociale che si sarebbe corso presso la popolazione, e in particolare, presso le forze dell’ordine, che in quegli anni avevano pagato un tributo di sangue già insostenibile a causa dei terroristi, anche perché durante i due mesi del sequestro le BR continuarono a spargere sangue nel Paese, uccidendo gli agenti di custodia Lorenzo Cotugno (a Torino, l’11 aprile) e Francesco De Cataldo (a Milano, il 20 aprile). Il tragico epilogo con cui si concluse il sequestro Moro anticipò comunque una presa di posizione definitiva da parte del mondo politico.
Alcuni autori, tra cui il fratello di Moro Carlo Alfredo, fecero in seguito notare alcune apparenti incongruenze nei comunicati delle BR. Un primo punto riguardò la totale assenza di riferimenti al progetto di Moro di apertura del governo al PCI, benché il rapimento fosse stato effettuato lo stesso giorno in cui il governo doveva formarsi, e nonostante l’esistenza di comunicati, precedenti e successivi agli eventi, in cui si trovavano espliciti riferimenti e dichiarazioni di contrarietà al progetto da parte dei brigatisti. Anche una lettera indirizzata a Zaccagnini da parte di Moro, con un riferimento al progetto, venne fatta riscrivere in una forma in cui questo era omesso. Un secondo punto riguardava i continui riferimenti contenuti nei comunicati, ove i brigatisti assicuravano che tutto ciò che riguardava il «processo» a Moro e i suoi interrogatori sarebbe stato reso pubblico. Tuttavia, mentre nel caso di altri rapimenti, come quello del giudice Giovanni D’Urso, addetto alla direzione generale degli affari penitenziari, questa diffusione del materiale era stata effettuata anche senza essere ribadita in maniera così forte e con materiale ben meno importante, nel caso Moro questa diffusione non si ebbe mai, e solo con la scoperta del covo di via Monte Nevoso a Milano furono scoperti e divulgati sia il memoriale Moro inizialmente in una versione ridotta, presente solo in fotocopia) sia alcune lettere, inizialmente non diffuse. Gli stessi brigatisti hanno affermato di aver distrutto le bobine degli interrogatori e gli originali degli scritti di Moro, in quanto ritenuti non importanti, nonostante in questi vi fossero riferimenti all’organizzazione Gladio e alla connivenza di parte della DC e dello Stato nella strategia della tensione, che ben sembrano identificarsi con il tipo di rivelazioni che le Brigate Rosse andavano cercando. Mentre Papa Paolo VI e il segretario generale delle Nazioni Unite Kurt Waldheim continuavano ad appellarsi alle BR per la liberazione del prigioniero, Craxi – sulla scorta di una risoluzione della direzione del suo partito – incaricò Giuliano Vassalli di trovare, nei fascicoli pendenti, il nome di qualche brigatista che potesse essere rilasciato in segno di buona condotta. Si pensò a Paola Besuschio, ex studentessa di Trento arrestata nel 1975: accusata di rapine «proletarie» e indiziata per il ferimento del democristiano Massimo De Carolis, consigliere comunale di Milano, era stata condannata a 15 anni e in quel momento era malata. Più tardi si pensò ad Alberto Buonoconto, un nappista anch’egli malato in carcere a Trani, ma le BR volevano che fossero scarcerati i membri ritenuti tra i più pericolosi (Ferrari, Franceschini, Ognibene, Curcio) e anche delinquenti comuni politicizzati, come Sante Notarnicola.
Per tracciare un confine tra ironia ed equivoco osserviamo intanto che la politica si distingue dal mercato di borsa, dal gioco del calcio per il fatto che ha un carattere rappresentativo e non soltanto fornisce un possibile argomento di conversazione per tutti i casi, ma viene anche organizzata per gli altri al loro nome e per loro incarico. Lo specifico del caso limite mette in evidenza solo questo carattere: l’amministrazione della cosa pubblica comporta un livello di responsabilità oltre la media, l’importante è l’Italia, sono gli italiani, per il supremo interesse dei cittadini. La differenza tra Parlamento, Governo e i magistrati sta nel fatto che i primi due poteri hanno appunto carattere rappresentativo, mentre i magistrati non rispondono al popolo sovrano pur se ne condizionano pesantemente, giustamente e ingiustamente, la stessa esistenza. La legge è il presupposto formale che contiene le coordinate degli scopi della attività politica che si deve confrontare con l’agire del singolo magistrato autonomo ed indipendente. Il medico non è uno scienziato, verifica e rileva gli effetti della terapia sul paziente, parimenti l’agire politico applica ai fenomeni sociali le più avanzate terapie per la soluzione dei problemi e poi verifica i risultati.
Sono le condizioni reali di esistenza che costringono l’uomo a cercare un lavoro, reinventare un lavoro, cambiare lavoro che gli assicura l’esistenza. Non c’è alcuna sinistra, destra, centro, anche perché se un edificio sta al centro significa che a destra c’è un edificio ed a sinistra c’è un altro edificio. Ma in Italia, come aveva intuito il Profeta del Bene, il cristiano illuminato dalla luce cosmica, sia a destra come a sinistra c’era e c’è il deserto.
Quale sinistra? Voi siete semplicemente dei falsari uguali a quelli delle banconote false con cui pagate quelli che lavorano e creano la ricchezza e consentono a tutti di vivere, operando con le mani e con i piedi 18 ore al giorno, tutti i giorni; quel 23% che sviluppa lavoro creativo, mentre quattro milioni di parassiti, i dipendenti della Amministrazione pubblica, la negazione della produttività, non solo producono zero, ma sono un ostacolo alla crescita, creano disaffezione e conflitti sociali tra privilegiati a posto fisso e stipendio assicurato e chi rischia ogni giorno per la lotta planetaria della sopravvivenza, tanto che ogni secondo muoiono nel mondo 15 bambini per un tozzo di pane ed un bicchiere d’acqua. Anche alla soluzione di questo generale e planetario problema si interessava il Prof. Aldo Moro e per questo è stato assassinato dalle oligarchie che lottano per la conquista del potere entro un perimetro fortificato dove l’accesso è vietato, come la Casta dei magistrati che risolvono le feroci faide all’interno del proprio fortino per essere uniti contro tutti coloro che pensano di indebolire il loro impero fatto legge.
Sul lavoro dei parassiti in servizio nella Amministrazione pubblica il tempo non è una variabile, lo stipendio è assicurato, mentre per il lavoratore privato la variabile tempo è decisiva sia per quelli appellati conservatori sia per quelli appellati progressisti. Per la realtà dell’esistenza in vita non sono decisive le etichette date dagli appartenenti a quel partito o a quell’altro, ma gli interessi economici, la quantità dei posti di potere che la classe dominante del momento si è potuta attribuire e la capacità della classe oppressa di poter aggregare delle forze sociali in grado di agire per un possibile, anche parziale, cambiamento. L’essere umano perde la spinta ad agire a comprendere lo scopo dell’esistenza stessa. Si annulla la sua capacità ad innovare, evolvere ed essere unico unito ai suoi simili.
L’intera umanità dei sofferenti nel corpo, per malattie, per fame, per sete, e quelli che avvertono il dolore dell’anima per le ingiustizie delle genti dimenticate e perseguitate, ha conosciuto il dolore giunto fino all’alba cosmica là dove sono nate le stelle, ha pianto con lacrime di sangue, quando è morto per mano dei carnefici l’Uomo della Speranza, della Provvidenza, della Misericordia, della Grazia.
Soggetti non meglio identificati, indistinti nel corpo e nella materia contenuta nel cranio, abitanti di discariche dove si nutrono di lussuosi escrementi, indossano gioielli composti di scarti organici nauseabondi, occupanti abusivi di troni traballanti costruiti da esperti senza arte e né parte, impongono con criminale prepotenza i loro decreti scritti con l’inchiostro della menzogna, marchiati con il sangue degli innocenti; hanno decapitato il Padre fatto Uomo, eletto dal Cristo marciante che invita i poveri di spirito ad abitare le galassie del Sacro, dove tutto è ordine e bellezza, lusso calma e voluttà.
Creare significa “forza naturale produttrice”, quella speciale attitudine originaria atta a produrre opere di importante rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale. Quella disposizione naturale che porta la luce dove vive il buio della notte, che genera la grazia nella sua “unità indifferenziata” di Natura e Spirito, il disgusto per la vita quotidiana senza senso e fine, distruttiva della negatività dell’esistenza, ma fronteggiata da una volontà positiva di costruzione individuale che si può riconciliare con la vita, con una sorta di sublimazione dell’apollineo che attraverso la creatività trasforma la realtà umana in qualcosa di attraente e desiderabile; il genio così trapassa dall’apollineo in un fenomeno dionisiaco.
I soggetti, che hanno infiammato l’esistenza del buon genitore di famiglia, il nucleo della formazione della collettività determinato biologicamente, che svetta lungo la verticale delle altezze conosciute dalla scienza, sono stati intimati dagli stessi servi sciocchi di una “giustizia” che non c’è. Si sono presentati affermando di essere i tutori del supremo bene dei cittadini, della sana amministrazione della res publica mentre altro non sono che ripugnanti frequentatori delle discariche della menzogna.
Di Carlo Priolo