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La china discendente di Schettino «capro espiatorio della tragedia»

In merito alla situazione antecedente l’impatto sulla secca della Concordia sono state raccolte le sintesi di alcuni strani antefatti che preludono l’incidente. Dalla serie degli eventi che si sono verificati - ognuno dei quali sarebbe stato di per sé sufficiente per evitare il tragico epilogo - la probabilità statistica della casualità assume valori fuori controllo.

Alberto Zei by Alberto Zei
8 Agosto 2013
in Senza categoria
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La china discendente di Schettino «capro espiatorio della tragedia»
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di Alberto Zei
Il profilo del Comandante
Qualche anno fa, se qualcuno avesse pensato ad una rappresentanza nazionale della Marina Mercantile circa la valenza, la competenza, la stima e la professionalità espressa al massimo livello, molto probabilmente si sarebbe trattato del Comandante Francesco Schettino.
Egli, infatti, a fronte di una brillante carriera era stato posto dalla compagnia Costa al vertice del comando di una delle due più prestigiose navi da crociera, la Costa Concordia, sulla quale fino al giorno del terribile incidente, si era comportato, al contrario di quanto molti ritengono, in modo piuttosto brillante.
Il Comandante Schettino, quantunque persona naturalmente cordiale e disponibile con tutti, assumeva per le sue qualità professionali di cui sicuramente era immodestamente consapevole, un atteggiamento alquanto autoritario e verticistico a sostegno delle sue decisioni in navigazione con il personale di bordo ed in particolare con i colleghi ufficiali con i quali, difficilmente condivideva il supporto complementare.
E’ vero che la sua autorità si trasformava in autorevolezza quando per intuizione marinara o per ostentata capacità di esperto comandante, riusciva a prevenire, a fare e anche a osare, ciò che gli altri inizialmente disapprovavano dal loro punto di vista professionale. Non sempre però, da parte di tutti questo avveniva, come si vedrà.
Le sue decisioni in navigazione talvolta erano piuttosto estreme. E’ perciò anche naturale che situazioni ripetitive di questo genere dessero piuttosto fastidio allo staff di plancia (bridge team) formato da uomini altrettanto validi ma che molto spesso venivano contrariati dagli intendimenti divergenti dello stesso Comandante che affidava le decisioni di bordo più al suo intuito personale che ai più o meno buoni consigli di navigazione e soprattutto di manovra da parte dei propri ufficiali.

Al momento opportuno
Non sempre però, l’attenzione dell’equipaggio in generale e degli ufficiali in particolare, si focalizzava sul suo modo un po’ guascone di affrontare le difficoltà. Altri casi invece, accaduti in condizioni di navigazione pericolosa, denotano inaspettatamente proprio dai racconti del personale, un comportamento ragionevole e più prudente di colleghi suoi pari di altri mercantili in quelle stesse circostanze.
E’ difficile dare a Schettino un unico connotato di persona spavalda e imprudente o al contrario di comandante pavido di fronte alle avversità del mare e alle difficoltà di navigazione.
Si vuol riportare a supporto delle apparenti ambiguità di comportamento del Comandante della Costa Concordia due episodi emblematici per un verso della sua capacità professionale e per un altro, dell’ intuizione e della prudenza che è stato capace di esprimere. Si legge in un rapporto:
“La Concordia sta affondando e per la prima volta i suoi ufficiali hanno la forza di ribellarsi al loro comandante. Non l’avevano avuta il 17 dicembre scorso quando – è l´altra sconvolgente verità che emerge dai verbali – Schettino mette a repentaglio una prima volta la nave, carica di passeggeri. Quel giorno, la Concordia è all’ancora nel porto di Marsiglia. Il vento soffia tra i 50 e i 60 nodi. Una tempesta».
Racconta l’ufficiale di coperta Martino Pellegrino:
Non era certamente amichevole l’intenzione di Pellegrino quando esprime la considerazione che egli nutre verso il suo Comandante. Egli infatti, prosegue: «Ci radunò sulla banchina e ci informò che saremmo usciti comunque, nonostante quel vento. Ci fu un silenzio agghiacciante. Ci guardammo tra di noi, ma non avemmo la forza di parlare. Poi, ci ordinò di ispezionare i respingenti della banchina, per assicurarsi che tenessero». Quel giorno, infatti, la manovra è spericolata. La “Concordia” lascia la banchina con le “macchine avanti tutta” facendo leva proprio su quei respingenti, come fossero una molla”.


Ma anche prudente
C’è anche chi lo ricorda come un valido Comandante per opposte ragioni. Si riporta anche qui un commento di un intervista fatta all’epoca da un membro dell’ equipaggio di cui sfugge il cognome. Si tratta di Fernando, salernitano, uno dei responsabili del ristorante Milano, quarto ponte della Concordia. “Chi ha lavorato con lui sulle navi Costa lo descrive «un grande professionista», «un comandante preparato», «un uomo mai arrogante e sempre disponibile con tutti», «un marinaio abilissimo nelle manovre». Fernando rievoca infatti, un episodio del febbraio 2011: «Stavamo navigando in Atlantico da Tenerife alle Canarie a Fune-hai sull’Isola di Madeira. C’erano altre navi in quell’area, ma Schettino è stato l’unico a interpretare correttamente i dati meteo e a capire che stavamo andando incontro a una bufera. Tra le proteste dei passeggeri ha cambiato programma, è rientrato nel Mediterraneo e ha fatto rotta su Malaga. Chi non ha fatto come noi si è ritrovato con mare forza 10 e una nave della Royal Caribbean ha avuto 300 feriti a bordo. Questo è Schettino”.
Alcuni antefatti
Per meglio restare nell’alveo della precisione di quanto nella notte avvenne prima del sinistro, si inseriscono per quanto possibile, alcuni inserti sequenziali di interviste dirette e verbali dai cui è possibile rilevare, passo dopo passo, che cosa avvenne prima del fatidico momento dell’impatto sullo scoglio.
Quando Schettino salì sul ponte per effettuare il passaggio davanti all’isola, erano presenti in plancia: il Primo Ufficiale Ambrosio, il Secondo Ufficiale Ursino e il Terzo Ufficiale Coronica, un allievo Ufficiale di Coperta, oltre che a due o tre altre persone al di fuori del contesto di comando.
Dalla deposizione di Schettino si legge sul relativo verbale:
”Sul ponte di comando, era stata tracciata la rotta, io avevo fissato un 0,5 (circa 925 m) di distanza dal passaggio; al Primo Ufficiale che seguiva le consegne impartite gli dissi di ridurre la velocità inizialmente man mano che la nave accostava e si portava sulla dritta. Dissi: adesso io assumo il comando e termino la manovra.”
La sensazione di qualcosa
Da un’intervista riportata dall’Ansa si legge: “In plancia – ricorda la sera del 13 gennaio lo stesso Schettino – non vi era caos, la navigazione era semplice e tranquilla, ero in plancia in sostanza per salutare l’isola, altrimenti non sarei salito: in una situazione chiara e di estrema semplicità, ho visto prevalere dapprima un inaspettato ‘cronico disagio’ per aver richiesto di effettuare un’accostata con timone a mano che avrebbe dovuto essere di normale routine e invece si è trasformata in una tragedia”.
“Di certo – prosegue il comandante della Costa Concordia riferito ai suoi ufficiali – avrebbero dovuto avvisarmi sul ritardo dell’accostata… Io credevo che si stesse rispettando la distanza minima dalla costa di 0,5 miglia che avevo chiesto appena entrato in plancia. A quel punto qualsiasi distanza che avessero potuto intendere a seguito della conversazione intercorsa con Palombo alla quale facevo riferimento a 0,3 – 0,4 poteva anche andare bene come campanello di allarme, ma con quella rotta salivamo direttamente sugli scogli. Nessuno mi ha avvisato quando quel limite è stato superato. Mi chiedo come si fa a non proferire parola, dubbio o incertezza quando è in gioco così tanto”.


Se ciò non bastasse
Se ciò non bastasse quella notte a cadenzare la serie delle circostanze relazionali negative con l’ equipaggio, dall’ inaspettato ‘cronico disagio’”, alla disinvolta osservazione della manovra da parte dei tre ufficiali di coperta, dall’ omesso riporto del superamento del limite richiesto di 0,5 miglia, alla mancata segnalazione della eccessiva penetrazione della nave verso terra, a questo punto subentra anche il timoniere.
Il timoniere infatti, dopo il congruo periodo di addestramento per l’esercizio dell’attività a cui egli è preposto e dopo un altrettanto, si presume, congruo periodo operativo al governo di una nave di prestigio come la Concordia, diviene improvvisamente refrattario ai comandi che Schettino impartisce.
Come si legge dai verbali, a bordo non vi era agitazione alcuna, per l’eccessivo avvicinamento a costa. Rusli quindi non poteva essere agitato a causa dell’ ansia di una situazione che ancora non conosceva. O la conosceva?
Gli errori, quindi, non erano neppure teoricamente imputabili ad uno stato di nervosismo che fino allora il timoniere non poteva avere.
Dalla lettura peritale egli sembra ora perdere il significato delle parole, non comprende o non esegue se non, in modo sbagliato. Il timoniere, infatti, in meno di un minuto travisa due vitali ordini del Comandante. La registrazione della scatola nera si apre alle 21.43.
“Schettino (in inglese) ordina “starboard” (barra) a “350” al timoniere indonesiano Rusli, che tuttavia dimostra di comprendere a tratti, perché all’ordine risponde “starboard 340”. Schettino lo richiama: “Otherwise we go on the rocks”, altrimenti finiamo sugli scogli. Parole accolte da risate. In quel momento non sembra esserci alcuna tensione. Né di Schettino, né degli ufficiali di coperta che sono con lui”.
Il colpo di grazia
Il travisamento dei comandi da parte di Rusli continua qualche secondo più tardi. Il timoniere “non esegue prontamente quanto ordinato – spiegano i periti nella loro relazione finale al Gip, aggiungendo che l’omissione è seguita da un grave errore nella direzione di accostata – quando il Comandante decide di passare da barra al centro fino a 20 gradi barra a sinistra, il timoniere va a dritta, arrivando fino a circa 20 gradi, come se avesse inteso dritta al posto di sinistra, per poi riportare la barra a sinistra, come ordinato, con un ritardo significativo”. In pratica un comando eseguito al contrario, che ha aggravato notevolmente la situazione già critica. Infatti, Rusli corregge (si fa per dire) l’errore, annullando la precedente manovra effettuata: “(…) probabilmente d’iniziativa, corregge a sinistra per soddisfare l’ordine iniziale di venti gradi a sinistra – scrivono i periti – senza produrre però un cambio di direzione della nave ma solo un rallentamento dell’accostata”.
Ossia, dopo una perdita d’acqua per 13 vitali secondi, il timoniere riporta la nave nella direzione che aveva prima del comando; mentre in questo tempo la Concordia si è assurdamente avvicinata alla costa di oltre 100 metri.

“A bocce ferme”
Dopo il susseguirsi di tali circostanze è anche consequenziale ritenere che se lo staff di comando avesse anche una sola volta, avvisato Schettino di qualcosa di ciò che avrebbe dovuto, la Concordia non si sarebbe trovata davanti alle rocce del Giglio. Si ricorda a proposito le parole dello stesso Schettino. “Nessuno mi ha avvisato quando quel limite è stato superato. Mi chiedo come si fa a non profferire parola, dubbio o incertezza quando è in gioco così tanto”.
Non solo, ma se il timoniere avesse eseguito la manovra orinata da Schettino, dalla ricostruzione tecnica-matematica dei tempi e della rotta, la Concordia sarebbe transitata a largo dello scoglio e nessuna tragedia si sarebbe verificata.
“Correggere di iniziativa” una manovra in corso è una circostanza rilevante in quanto sottende il fatto che Rusli aveva ben capito il giusto comando, oppure, c’è ancora qualcos’altro di inedito da chiarire. Di tutto questo quanto potrà la Legge di fronte al generale pregiudizio?

Alberto Zei

Alberto Zei

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