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Anziani in crisi «non possiamo più neanche mangiare una pizza fuori casa»

Dal non poter più mangiare una pizza al non poter festeggiare un compleanno. Molte sono le rinunce che gli italiani sono stati costretti a fare in tempi di crisi economica. Ma anche chi l’ Italia la pensava come una meta felice parla di crisi, come Ivan, badante ucraino in Italia da sette anni.

Mariangela De Maria by Mariangela De Maria
15 Novembre 2013
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Anziani in crisi «non possiamo più neanche mangiare una pizza fuori casa»
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Splende il sole a Roma, l’ultimo di un caldo autunno. L’aria è ferma, i colori accesi e sulle panchine di un quartiere centrale della città molti sono gli anziani che discutono tra loro. Si parla della crisi.
“Non possiamo permetterci più una pizza fuori, non possiamo più festeggiare un compleanno”. Così Vincenzo parla della sua di crisi, quella che ha stravolto inspiegabilmente la sua vita e quella di sua moglie Anna che annuisce, tenendogli stretta la mano. Numeri e statistiche a parte, la tanto chiacchierata crisi si tocca con mano passeggiando per le strade della città, ascoltando la gente dialogare seduta sulle panchine. “La nostra vita è ormai un continuo arriva bollette, tasse da pagare, c’è l’Imu, l’immondizia. Da giovani abbiamo comprato un seminterrato che per anni abbiamo pagato 150.000 lire al mese. Ora dobbiamo pagarci sopra le tasse. Per un seminterrato”.
Le parole sono accorate, i gesti netti, l’atmosfera si fa calda come il sole che accompagna quei discorsi. Interviene Arnaldo. La sua è una voce fuori dal coro, piena di rabbia. “Mi assumo la piena responsabilità di quanto sto per dire – incalza – ma se il popolo ha fame deve ribellarsi. Motivo per cui io sotto al Parlamento metterei una bomba. Sono una massa di delinquenti, Questa è la realtà, non ho nulla da nascondere o da temere”. Arnaldo ha lavorato per cinquanta anni come infermiere professionale e riesce a vivere con la sua pensione, la cui metà va però ad un “grande lavoratore”, dice,  il suo ‘badante’ ucraino, Ivan.
Da sette anni a Roma, Ivan ha lavorato per lungo tempo come muratore in Italia, meta conquistata attraverso sacrifici continui. “Ma lì, per noi l’Italia è … come dire ricca, bella. Lì si crede che qui si trova lavoro. Che si sta bene”. Ma ora che Ivan è qui, da sette anni, non la pensa più così. “Dopo anni e anni che ho lavorato come muratore, ho perso il lavoro. Qui vivere è difficile. Arnaldo mi ha salvato e io aiuto lui. Una volta in Italia, ho dovuto aspettare tre anni prima di rivedere la mia famiglia, i miei figli. Tre anni. Da quando ho avuto il permesso di soggiorno, riesco a vederli. Una volta all’anno”.
Ivan non è italiano, dell’Italia ricca e prospera ne ha solo sentito parlare senza mai conoscerla. Ne parla bene, Roma continua ad incantarlo. “Ma se volessi comprarmi una casa non potrei farlo. Sono costretto a vivere lontano dalla mia famiglia, per loro qui ci sarebbe troppo poco. Parte di quello che risparmio lo mando a mia moglie, che lì guadagna ottanta euro al mese. Ma i miei figli avranno un futuro diverso, loro studiano all’università”, afferma Ivan con un orgoglio straripante.
L’intervista a Ivan viene bruscamente interrotta dalla signora Teresa, d’origini abruzzesi ma ormai romana da una vita. “Capisco che tutti ‘sti immigrati lì hanno i loro guai, ma qui che ci sei venuto a fare? – rivolgendosi a Ivan  –  siete troppi in Italia, anche per questo qui non c’è lavoro”. Ivan non risponde. Chiedo alla signora Teresa se i suoi figli lavorerebbero come assistenti familiari, badanti insomma. “Assolutamente no” risponde decisa.
Sul volto di Ivan un sorriso tradisce la sua austerità. Ivan cercava proprio quella precisa risposta, due parole che legittimassero il suo lavoro, che riconsegnassero dignità alla sue rinunce, ai suoi sacrifici. Ivan non aggiunge altro, ma sa bene che il suo lavoro in Italia ben pochi sarebbero disposti a farlo. Lui quel lavoro non lo ha sottratto a nessuno. “Io lo amo questo lavoro”, conclude emozionato. Ivan tornerebbe volentieri in Ucraina, dai suoi cari, nella sua terra, tra la gente con cui condivide la lingua, gli usi. Ma per ora non può, “perché lì si sta peggio di qui … dove comunque non si sta benissimo”.
Arnaldo, Vincenzo, Teresa condividono con Ivan molto poco. Si sforzano di comprenderne il dolore, ma non vi riescono fino in fondo. Quel che con Ivan hanno in comune è lo sguardo che dispiegano sull’Italia. Uno sguardo disilluso, arreso, disincantato. Proprio come quello di Ivan che, immigrato, povero,  della bella e ricca Italia conserva solo il ricordo della favola che fin da piccolo gli era stata raccontata. Una favola che non ha mai conosciuto direttamente, “  perché – anche lui dice – in Italia c’è la crisi”.
 
Mariangela De Maria
 

Mariangela De Maria

Mariangela De Maria

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