«Antonio e Cleopatra viene spesso associato al monumentalismo e all’esotico, quasi fosse una sorta di Aida della prosa» dice Luca De Fusco, che preferisce invece mirare all’essenziale. Tagliando fronzoli al copione e alla scenografia offre al pubblico uno spettacolo asciutto e lapidario. Importanza fondamentale viene accordata alla parola, rinnovata anche dalla recente traduzione di Gianni Garrera che consegna allo spettatore un testo dinamico e particolarmente attuale.
Protagonista indiscussa la contaminazione. Danza, musica e cinema partecipano alla pièce ricordando che il teatro può essere un’ottima sintesi di tutte le arti. I giochi di luci e di ombre sostituiscono perfettamente navi, eserciti e palazzi imperiali. Non solo luci e ombre, colpiscono anche i giochi dei corpi con una danza sinuosa che simula la lotta (coreografia di Alessandra Panzavolta). Una scalinata imponente e un trucco d’effetto che oscilla tra la maschera e la scultura bastano a soddisfare l’immaginazione dello spettatore.
Notevoli gli attori. Il sodalizio con Fusco non è recente, eccetto per Luca Lazzareschi, new entry nel ruolo di Antonio magistralmente interpretato. Eccezionale anche la Cleopatra di Gaia Aprea, che sfida sé stessa con «il ruolo più difficile mai interpretato». La femminilità della più celebre regina d’Egitto è resa in tutta la sua imponenza. Un personaggio in equilibrio sempre precario tra la disfatta e la gloria eterna, in bilico costante tra la distruzione totale e una vittoria che va oltre ogni battaglia terrena.
Scelta felice quella di accordare particolare importanza al rapporto tra i due eredi di Cesare. Augusto e Antonio: due facce opposte e complementari dello stesso potere. Un potere immenso, assoluto che richiede un assoluto detentore. Un potere che va perseguito con acume, lucidità e dedizione poco umani. E il valoroso Antonio da vizi e virtù umani è interessato alla grande. Non gli resta che cedere il posto. Lasciando un avversario basito ma cosciente dell’esattezza della storia, perché in questo caso «il mondo era troppo piccolo per abbracciare le stelle di entrambi».
Elisiana Fratocchi