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“E forse sono pazzo”, il nuovo disco di Diodato

Il giovane tarantino: «è il lavoro di una band»

Redazione by Redazione
23 Marzo 2014
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“E forse sono pazzo”, il nuovo disco di Diodato
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Diodato
Il nuovo album di Diodato

Roma, 21 marzo. Libreria Feltrinelli di via Appia Nuova.
Antonio Diodato, cantante tarantino in gara al Festival di Sanremo 2014 con la canzone “Babilonia”, ha presentato il suo nuovo album E forse sono pazzo alla Feltrinelli di Via Appia Nuova. Il disco contiene tredici brani, tra cui una rivisitazione di “Amore che vieni amore che vai” di Fabrizio De André, delineati da graffianti esplosioni rock e una vocalità dotata di interessanti sfumature.
«Buonasera a tutti, è vero quando si dice che la discografia ha dei problemi a gestire il passaggio dai dischi a tutto quello che c’è su internet, però quando c’è un artista…vero, è sottolineo vero, la differenza si sente, si avverte anche in pochissimi minuti. Chi aveva la fortuna di conoscere questo ragazzo prima dell’apparizione di Sanremo, sicuramente ne avrà apprezzato le grandi qualità, lo spessore compositivo e, come dire, di esibizione live. Chi lo ha visto a Sanremo c’è arrivato come un reduce, perché la gara dei giovani è stata proposta a notte fonda.
Quando ormai le orecchie erano sature da tanta musica, sentita prima e durante le tante “trovatine” all’Ariston, a un certo punto c’è stata la differenza. Sono arrivati quattro, cinque su otto artisti di gran pregio, c’è ne uno che è stato ingiustamente giudicato. Secondo me le parole del presidente della giuria, che era Paolo Virzì, un genio, sono vere – Antonio non ha vinto, non è arrivato secondo, non ha vinto nemmeno il premio della critica ma io gli avrei dato tutto, gli avrei messo anche Laetitia Casta in braccio – e allora accogliamolo qua, Diodato». Così, Stefano Mannucci, giornalista e caporedattore del Tempo, presenta il giovane ragazzo tarantino dal sorriso espressivo e dalla battuta sempre pronta.
Diodato, con indosso una giacca nera e un jeans scuro, saluta tutta la gente che era in sala e con ironia dice: «Sei sempre troppo buono, l’abbiamo pagato ovviamente», comincia a suonare le note di E forse sono pazzo con la sua chitarra, accompagnato dalla Diodato’s Band, composta da Daniele Fiaschi alla chitarra, Danilo Bigioni al basso, Alessandro Pizzonia alla batteria e Duilio Galioto al piano. Nella sua grande “famiglia”, così come la definisce, non può mancare il produttore,  Daniele Tortora, detto “Il Mafio” da Mafalda, per via dei molti capelli che aveva da giovane.
Il titolo della canzone e del nuovo disco ha un significato profondo: e come se l’artista debba essere sempre senza pelle, non arrendersi alla normalità che poi diventa banalità quotidiana e soprattutto non avere un piano B. Il ragazzo confessa: «è arrivato un momento della mia vita in cui ho deciso di fare questa cosa qui, che non so ancora bene come definirla, e non mi sono più creato un piano B, ho eliminato proprio il pensiero di cosa farei se dovesse andare male e mi sono buttato nel vuoto, per il momento una rete è apparsa, ora non so quanto reggerà ma sono felice di averlo fatto». Il piano A, per ora, sta funzionando a meraviglia per il giovane artista.
Dopo molti live, alcuni non di esperienze felici, come racconta, arriva a un palco importante, come quello dell’Ariston e si gioca tutto davanti a dieci milioni di persone con il brano Babilonia. Questo li ha permesso di creare un legame con persone che non ha mai conosciuto, di andare oltre al solo legame di contatto che aveva prima con il suo pubblico. La prima sera, fu lui a rompere il ghiaccio. Fece un gesto, forse senza rendersene conto, molto importante: non aveva con sé la sua chitarra, che è come avere una coperta di Linus per chi la imbraccia sempre, per non sentirsi nudi davanti a un microfono che mette paura, a metà del brano allarga le braccia come fece, cinquant’anni fa, Domenico Modugno con Volare.
Il paragone non è banale. Si viveva e si vive un grande momento di crisi per tutti e in quell’abbraccio c’è tutta la speranza di un paese che nonostante il tormento, come lo stesso brano recita, deve riprovare a volare. Il messaggio è arrivato al pubblico, prova anche dell’applauso lunghissimo che c’è stato all’esibizione della canzone, come a voler ringraziare quelle parole, che solo un artista può esprimerle avendo le doti per farlo. Mina ha detto che le sono piaciute due canzoni: Babilonia e Così lontano di Giuliano Palma.
L’anno scorso, al Midimex di Bari, all’expo della musica mediterranea, ha vinto il titolo di miglior artista dell’anno. Lui è romano di adozione. Non rivendica le sue origini anzi Taranto gli sta molto a cuore, soprattutto, ora, che sta vivendo un momento difficile con il disastro dell’Ilva. Diodato, con molti artisti, tra cui anche Michele Riondino e Roy Paci, canteranno al concerto del primo maggio a Taranto per dare un segnale forte e ribaltare le sorti di un sistema che continua a stuprare il territorio disseminando veleni che provocano danni irreversibili alla salute e all’ambiente, facendo leva anche sul ricatto occupazionale.
«Ci sono dei posti – racconta il giovane – dove senti le cose che ti ritornano indietro con un’energia pazzesca, anche le canzoni prendono un significato nuovo che magari non c’era e sono sensazioni che ho provato lì al primo maggio, le ho provate all’Angelo Mai ma anche al Teatro Valle, posti che non stanno vivendo un buon momento, ed è per questo motivo che spero davvero che da questa esperienza difficile possa nascere un dialogo con le istituzioni per dare nuovo valore alla musica. Sono cresciuto tantissimo artisticamente lì dentro e credo di essere diventato anche una persona migliore dal punto di vista umano».
La sfida che deve affrontare, ora, è di creare un contatto continuo con il pubblico: le domeniche ha uno spazio nel programma Che tempo che fa? di Fabio Fazio, cantando in un minuto canzoni come Piove di Modugno sullo sfondo di Piazza Castello a Milano e presto inizierà il suo tour nelle varie città. Il 3 maggio sarà in concerto a Roma all’Angelo Mai e il 25 marzo sarà al Teatro Tirso di Molina con Simone Cristicchi, Stefano Mannucci e Filippo Graziani.
Conclude con una carrellata di dieci minuti di alcuni pezzi della cover: Mi fai morire, Ubriaco, Ma che vuoi, I miei Demoni, Panico, Se solo avessi un altro, Amore che vieni amore che vai, colonna sonora del film Anni felici di Daniele Lucchetti. Spende le ultime parole dell’incontro amorevolmente: «il nuovo disco è il lavoro di una band a cui si è unito un produttore artistico che ha tirato fuori, secondo me, qualcosa, di non comune, un mix tra qualcosa di internazionale e italiano e sono felice di condividerlo con loro».
 
di Donatella De Stefano
a cura di Silvia Buffo

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