Una filosofia di vita, un particolare modo di essere, sentire, osservare e comunicare: è questa la “romanità” riflessiva, ribelle e romantica, mai indifferente, che Venerdì 16 Maggio, alle 21, al Lettere Caffè di Trastevere, in Via di San Francesco a Ripa 100, porteranno in scena la scrittrice, poetessa e performer Valeria Corsi e il duo “Parola de Roma”, formato dalla cantante Lidia Vadalà e dal pianista, fisarmonicista e chitarrista Roberto Petruccio. Tutto questo è ‘Ndo’ sta Roma, un atto unico, “multimediale”, tra poesie e racconti bonsai, canzoni popolari della tradizione orale di Roma e dintorni e immagini, un autentico percorso nella quotidianità della Capitale, sopratutto in quella umile e invisibile.
Ne parliamo con Valeria Corsi, autrice dei testi, interprete e, insieme a Lidia Vadalà, anche regista della “spettacolazione”.
– Valeria, leggiamo dalle tue note biografiche che sei nata a Milano. E al “Lettere Caffè”, a Trastevere, proprio nel cuore della “città eterna”, proporrai “Ndo’ sta Roma”. Questa scelta ci colpisce molto. Qual è il tuo rapporto con Roma e da dove nasce l’amore per questa città?
«Dopo il vagabondare dei miei primi quindici anni di vita, è nella capitale che sono diventata “stanziale”. Dal ’66 ho incominciato a sperimentarne i suoi luoghi e gli abitanti, vivendo in prima persona gli anni caldi dal ’68 in poi, quando sotto il suo cielo ancora si respiravano le stagioni, ma anche la contestazione e la relativa repressione, ed era facile imbattersi per caso o per scelta in situazioni non facili e spesso pericolose. La “città eterna” sembrava assistere a questo brulicare di idee e azioni contrapposte senza sobbalzare, come ci fosse abituata. Poi il tempo – davvero molti anni – che mi ha visto continuare a percorrere le strade romane con i loro eventi e le loro persone, pur cambiando il panorama sociale e politico, ha fatto il suo corso e Roma ha continuato a raccontare, ad emozionarmi; docile, più docile si è lasciata scoprire nelle sue caratteristiche e fragilità, con una voce a volte sottile a volte possente, dolce o prepotente e arrabbiata, ma sempre profondamente umana. Ecco da dove nasce il mio amore per Roma: dalla percezione dell’umanità condivisa con la gente incontrata e sentita con il cuore, se non in tutte, in molte delle sue emozioni, fino a non riuscire più a distinguere quelle degli altri dalle mie. Roma, diversamente da come spesso viene considerata, per me è la città del suo popolo, del quale d’un tratto, senza neppure accorgermene, mi sono sentita parte integrante. È a questo punto che ho incominciato a parlare romanesco, a studiarlo, a comprenderlo e sentirlo e poi anche a scriverlo. Non è forse vero che, se ti innamori di uno straniero, ben presto ti ritrovi a parlare la sua lingua? Magari non come un madre-lingua – e di questo chiedo venia – ma con profondo rispetto e comprensione per le sue atmosfere e significati».
– Questo amore per Roma si manifesta pienamente nella tua arte e, in particolare, in questo spettacolo, anzi, in questa “spettacolazione”, come la definisci. Vuoi chiarirci questo termine coniato proprio da te?
«Decisamente il termine “spettacolo” stonava non poco con quello che la mia mente stava pensando, quando ho coniato il termine “spettacolazione” che, invece, riusciva a coniugare e legare insieme sì lo spettacolo – nel senso comunque di una rappresentazione scenica, esibizione artistica rivolta a un pubblico di spettatori – ma connotato dal termine “azione” nel senso di un movimento volontario, un sommovimento dell’animo, dell’emozione nello spettatore, indotto da un intreccio di arti, attraverso le quali si producesse uno scuotimento interiore e – perché no? – un cambiamento».
– Perché è importante proporre la poesia, la narrativa e, in generale, la letteratura in forma di “spettacolazione”?
«È un credo quasi generalmente condiviso dagli addetti ai lavori, che la bellezza del testo poetico, e comunque letterario, si debba affidare esclusivamente alla lettura interpretativa dello stesso non aggiungendo alcun “contorno” d’altro genere spettacolare , musicale ecc. Ciò generalmente è tradotto in quello che viene definito “reading” poetico e/o letterario, fruito per lo più dagli addetti ai lavori, dagli appassionati per cultura ed interesse pregressi, per risultare invece ai più irraggiungibile – perché privo di elementi comunicativi che colpiscano la persona per intero, che possano interessare quanti più sensi possibile, facendo leva sull’affascinazione della “variabilità percettiva” (principio pedagogico che informa molta buona didattica, perché più funzionale all’apprendimento e al coinvolgimento). La gente comune, nella quale non è vivo un interesse specifico, culturalmente non abituata a manipolare testi letterari e meno che mai poetici – considerati magari troppo difficili nella comprensione – è quasi sempre rimasta esclusa, autoesclusa in un certo senso, dai circuiti degli addetti ai lavori. Ecco: il senso della “spettacolazione”, dell’intreccio di arti che si fondono e interagiscono attraverso la stimolazione di tutti i sensi dello spettatore, è proprio quello di catturare l’attenzione, l’animo della gente comune, coinvolgendola nell’interezza delle sue emozioni, riuscendo a “commuoverla” profondamente e generare passione verso la produzione letteraria, poetica o narrativa che sia».
– In particolare, da dove nasce “Ndo’ sta Roma”?
«’Ndo’ sta Roma nasce da un incontro casuale di un musicista, Roberto Petruccio, e una creativa, io, che in un giorno qualunque a lui condivisi l’idea di mettere in scena una spettacolazione in romanesco in un teatro romano che mi aveva chiesto di creare un evento. Roberto fu subito entusiasta, perché, oltre a mettere in campo le sue grandi doti di musicista polistrumentista, aveva un asso nella manica, di cui mi parlò immediatamente: una sua amica, Lidia Vadalà , che di canto popolare e della canzone della tradizione orale romanesca era una vera appassionata e cultrice, e poi era anche una cantante, sensibile interprete della canzone popolare. Ci incontrammo, ci sedemmo intorno alla mia silloge di poesie in romanesco e racconti brevi – ‘Ndo’ sta Roma – e iniziammo a trasformarla in una spettacolazione».
– Quali sono i temi e i contenuti di questa spettacolazione?
«I temi di questa spettacolazione sono quelli in buona parte contenuti nel mio libro omonimo, da poco pubblicato, ma che ha visto una gestazione lunga e diluita nel tempo di anni. Temi che si trovano nelle poesie nate quando il mio “spirito” romano mi chiamava per nome e sgorgava dalla mia mente stimolato da un evento, una persona, un particolare che mi faceva sentire quello che di nascita non sono: “romano de Roma”, con tutte le sue contraddizioni, fragilità e “spacconerie”, mestizia e senso dell’ironia, riflessione e leggerezze. Come nella seconda parte del libro, anche nella spettacolazione sono presenti i contenuti di alcuni racconti bonsai, ispirati dall’ osservazione della realtà odierna di Roma. In sintesi, qui si parla della vita, ma non della bella vita, quella facile del benestante, bensì di quella dell’uomo – o donna – comune, che la vita se la suda, capace di sbraitare contro i potenti e sussurrare parole d’amore alla sua bella, filosofeggiare sul senso delle cose e del campare quotidiano e pure ironizzare e sciogliersi in ripiegamento su se stesso in riflessioni scanzonate, ma mai prive di profonda umanità. Sono contenuti veri, che aborrono dal mistificare la realtà e che anzi della realtà cercano di creare “evidenza” anche dove non la si riconosce».
– «’Ndo’ sta Roma… non è un interrogativo, una domanda di chi si chiede dove sia andata a finire Roma. No. ‘Ndo’ sta Roma è un’asserzione: Roma c’è e c’è con tutta la sua “romanità”»: sono le parole con cui apri la presentazione di questa raccolta di poesie e racconti “bonsai”. Ma che cos’è per te la “romanità”? Qual è il senso profondo di questo tuo nuovo libro? Su cosa punta il riflettore di questa tua opera?
«Come ho già accennato, quando parlo del mio sentirmi “romana de Roma” parlo di quel coraggio di riconoscermi nella gente, di guardarmi per quello che sono nelle mie emozioni e contraddizioni quotidiane, nelle emozioni di rabbia condivisa contro tutto ciò che rende amara o difficile la vita, che invece voglio connotare positivamente nonostante tutto, amare nonostante le sue brutture. Questa è la “romanità” che sento condivisibile con la “gens romana”. E quando parlo di contenuti che cercano di creare “evidenza” anche dove non la si riconosce, intendo dire che qui si puntano i riflettori in quelle zone d’ombra del proprio individuale, nelle pieghe nascoste del sociale e nell’invisibile agli occhi, ma non al cuore».
– Qual è il “tempo” di questa “romanità”?
«Questa “romanità”, tutto sommato, credo non abbia un tempo preciso, piuttosto la percepisco senza tempo, una sorta di commistione di passato (per come era), presente (per come la si può osservare, se si è disposti a guardarla davvero) e pure futuro, nell’intuizione di una vita migliore perché illuminata dal cuore, vissuta con il cuore e tutto il movimento, il terremoto, a volte, di emozioni che esso provoca e regala a chi ha il coraggio di essere se stesso, in questo caso: “romano de Roma”».
– Com’è strutturata la “spettacolazione”? Come è stato tradotto il libro in forma teatrale?
«La “spettacolazione” – come il libro del resto! – è strutturata in quattro parti: “Rifressioni a ttu ppe’ ttu”, il filosofeggiare intorno alla vita e all’umane cose, “Scerte idee”, qualche cenno ironico di satira senza sconti ai potenti, “Tra le fronne e er core”, il cui unico tema è rigorosamente l’amore e la voglia d’amare, e, per finire, “Briciole di pane quotidiano”, una quotidianità invisibile finalmente resa evidente. In ognuna di queste parti, alla poesia si alterna la canzone popolare della tradizione orale. Il tutto è incorniciato da immagini e, dove lo spazio lo consente, dalla danza di Lucia Monaco: a volte danza popolare, altre teatro-danza . Dulcis in fundo, la spettacolazione propone, dove è possibile, anche una mostra fotografica molto particolare di scatti nati dalla grande sensibilità artistica del fotografo Romeo Fraioli: si tratta di foto che… ma – consentitemelo! – non voglio svelarvi di che si tratta!!! Occasionalmente, nascosto tra il pubblico, s’aggira un pittore o grafico che ritrae persone ed emozioni della “romanità” d’oggi».
– Cosa vuoi che lasci al pubblico questo tuo percorso nella “romanità”?
«Mi piacerebbe chiederlo al pubblico. Ma nelle mie intenzioni c’è ovviamente quella di rendere evidente l’invisibile della vita e stimolare il pubblico a cercare le sue infinite sfaccettature e imparare a goderne, a dispetto delle brutture troppo spesso così invadenti e prepotenti, che ci fanno credere che non possa esserci altro di diverso: tutto l’amore e la bellezza che anche il quotidiano spicciolo sa regalare a piene mani, quando siamo pronti a riceverli. E naturalmente tutto questo è nella città eterna… tutto da scoprire»!