“Duemila anni di calunnie”. Questo, oltre al titolo d’un celebre saggio su Nerone (Mondadori, 1993) del giornalista Massimo Fini, appassionato di storia romana, è il titolo dello spettacolo di Edoardo Sylos Labini, centrato sulla figura del controverso imperatore, andato in scena, sino al 31 gennaio, al Teatro “Quirino- Vittorio Gassman”. Una pièce che Sylos Labini, non nuovo a spettacoli su personaggi storici vittime di pregiudizi ideologici (da D’Annunzio ai futuristi, da Italo Balbo allo stesso Giuseppe Mazzini), ha allestito, con la collaborazione drammaturgica del giornalista Angelo Crespi, basandosi appunto sulla dettagliata ricostruzione di Massimo Fini.
Tra fastose scenografie romane, e costumi – tranne che per Nerone, Agrippina e Poppea- novecenteschi (ambedue di Marta Crisolini Malatesta), scelti, questi ultimi, per evidenziare l’eternità dei meccanismi del potere, gli attori della “Fonderia delle Arti” (Sebastiano Tringali, Fiorella Rubino, Dajana Concione, Giancarlo Condè, Gualtiero Scola, e il bravissimo mimo Paul Vallery) han dato vita, con grande professionalità, a un apologo di stampo shakespeariano: nella tradizione, diremmo, di “Macbeth” e “Riccardo III”. Al centro, naturalmente, Nerone Claudio Cesare, interpretato dallo stesso Sylos Labini (singolarmente ricordante, in queste vesti, il Malcolm Mac Dowell/Caligola del celebre film anni ‘70 di Tinto Brass). Che, rifugiatosi nella villa del liberto Faone sulla Nomentana, una sera di giugno del 68 d. C., giunto ormai al termine della sua parabola (nelle vicinanze galoppano i cavalli dei soldati che, per ordine del Senato, cercano l’ex- imperatore, dichiarato ormai “Nemico pubblico”), la rivede nel “teatro della memoria”. L’ascesa al trono, a soli diciassette anni, nel 54 d. C., e il celebre “quinquennium Neronis”, i suoi primi 5 anni di governo: da alcuni – Traiano per primo – ritenuti i migliori ( “mentre la storia”, ricorda Massimo Fini, “al contrario mostra che i migliori furon proprio gli ultimi, dal 59 in poi; con un Nerone ormai liberatosi della distruttiva influenza della madre, Agrippina, e dell’ ingombrante tutela del filosofo Seneca). Poi, le riforme avviate: quella della cultura e del costume, volta ad ellenizzare, comunque a sprovincializzare, la tradizionalista “weltanschaung” romana; la svalutazione monetaria, tesa ( la prima della storia) a potenziare le esportazioni; i tentativi di riforma tributaria, in gran parte bocciati dal Senato (come, anzitutto, il progetto d’eliminare le imposte indirette, per favorire un aumento della ricchezza e, in prospettiva, la crescita di quelle dirette). Infine, le pagine dolorose, e controverse, dell’incendio di Roma (luglio 64 d. C.) e la successiva persecuzione dei cristiani, con l’esecuzione, anche, di San Pietro e San Paolo. “Ma nessuno storico serio – precisa ancora Fini – ha mai detto che Nerone abbia incendiato Roma: il tutto è nato in seguito a rivisitazioni cristiane medioevali della sua figura. Mentre quest’imperatore perseguitò i cristiani non in quanto tali, ma solo perché alcuni di essi , come ricorda Tacito negli “Annali”, iniziarono ad autoaccusarsi dell’incendio (per paura della giustizia romana, o compiacendosi della calamità: da molti di loro accolta favorevolmente, come punizione divina della “Nuova Sodoma”, N.d.R.)”.
Di Pietro Sperduti le luci, e di Paul Vallery le musiche, di cui alcune (come la celebre aria rossiniana della “Calunnia” ) di storica memoria. “L’introduzione d’una “tax credit” anche per gli spettacoli dal vivo, analoga a quella già esistente per il cinema”, ha osservato, in chiusura, Edoardo Sylos Labini, “avrebbe effetti largamente positivi non solo per il teatro, ma anche per tanti settori imprenditoriali variamente collegati ad esso: che potrebbero appunto usufruire di vitali agevolazioni fiscali. Mentre è indispensabile, in Italia, una nuova politica organica per il teatro: anche per facilitare quella nuova generazione di autori e registi quarantenni ( come il sottoscritto), non proprio agli inizi, e che, però, posson contribuire adeguatamente a risollevare una scena che da tempo riesce solo a vivacchiare“.
di Fabrizio Federici