Roma. I professori scioperano. Nulla di nuovo – starete pensando – e non avete tutti i torti. Sono molte le ragioni che il personale docente va rivendicando dal 2011, prima fra tutte lo sblocco degli scatti stipendiali del passato. La prima “sedizione accademica” avvenuta l’anno scorso e sottoscritta da oltre 11 mila professori, ha messo a rischio un appello della sessione autunnale (dal 31 agosto a ottobre), ma con garanzia di recupero posticipato dello stesso. Pochi danni per gli studenti al pari con gli esami: a uscire semmai con le “ossa rotte”, i giovani con un’attività lavorativa a carico o con qualche “intoppo accademico” in più da riparare.
Eppure le richieste dei “prof in protesta”non hanno ricevuto – a detta del Movimento per Dignità della Docenza Universitaria – “risposte soddisfacenti” dalle istituzioni. La Legge di Bilancio 2018 pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre e in vigore dal 1 gennaio 2018, prevede una riconfigurazione biennale (a partire dalla classe conseguita dopo il 31 dicembre 2017) e una tantum per il blocco 2011-2015:«due interventi» – sottolinea la FLC GGIL – «che sono il risultato delle mobilitazioni, ma che rappresentano solo un recupero parziale di quanto perso». Nonostante l’abolizione della premialità, le risorse rimangono limitate e i costi pronti per essere scaricati sugli Atenei, con una pressione sui singoli bilanci che rischia con il tempo di dividere ulteriormente le università.
Così dallo scorso 16 febbraio 2018, più di 6000 docenti sono di nuovo sul piede di guerra. Proclamano in una lettera, l‘astensione dallo svolgimento degli esami di profitto durante la sessione estiva dell’anno accademico 2017-2018, precisamente nel periodo tra 1 giugno e il 31 luglio. Una doccia, fin troppo fredda per alcuni studenti.
Sciopero: sicuri di sapere come funziona?
I professori universitari si asterranno dal tenere tutti gli appelli degli esami di profitto programmati nella giornata fissata per il “primo di tutti gli appelli dei loro corsi o moduli”. Così recita il primo punto inerente alle modalità della manifestazione.
Tutti gli esami corrispondenti sono dunque spostati all’appello successivo che si terrà regolarmente, e lo stesso discorso vale anche per i ricercatori a tempo indeterminato. Più articolata la situazione per gli esami che presentino un solo appello: sarà compito delle strutture degli Atenei fissarne uno straordinario dopo il quattordicesimo giorno dalla data del giorno dello sciopero.
Garanzie giungono per gli studenti Erasmus, i laureandi e per studentesse in attesa di un bambino:i partecipanti allo sciopero sono disponibili a tenere un appello straordinario “ad hoc”, in un giorno successivo a quello dello sciopero, indicativamente il settimo giorno dalla data dello sciopero stesso. La protesta dei professori non tocca le altre attività istituzionali, compresi Consigli di Dipartimento e di Dottorato che rimarranno attivi.
Motivi dello sciopero: una contesa “antica”
Cinque sono i punti messi nero su bianco nella la lettera del 16 febbraio: al primo, il tasto più dolente per gli accademici, ovvero la richiesta dello sblocco delle classi e degli scatti stipendiali dei Professori e dei Ricercatori congelati nel quinquiennio 2011-2015, a partire dal 1 gennaio 2015 e non dal 1 gennaio 2016. A partire da tale sblocco, richiedono il riconoscimento a fini economici del quadriennio 2011 -2014.
Oltre alla proposta (presente al punto 3) di annullamento della nota del Miur che sancisce per professori di prima e seconda fascia il blocco di classi e scatti sempre per il 2011-2015, il Movimento rivendica al punto 4, lo stanziamento di 80 milioni di euro, per incrementare il “Fondo integrativo statale” usato per la concessione di borse di studio, a studenti universitari.
All’ultimo punto, ma non per questo di minore importanza, la richiesta di risorse per la messa a concorso di 6000 posti per Professori Associati, 4000 ordinari e 4000 posti per ricercatori di tipo B.
Studenti:«sì allo sciopero, ma non sulla nostra pelle»
Gli studenti, come era immaginabile, non hanno preso bene la notizia. La manifestazione di quest’anno, rispetto allo sciopero precedente, ha l’aggravante del “tempo”: sessione estiva e non autunnale. Coincide insomma, con la scadenza del periodo in cui i ragazzi sono tenuti alla presentazione dei crediti necessari per l’ottenimento della borsa di studio erogata dall’Ente per il Diritto allo studio, in base al criterio dell’ISEE che si somma al numero di esami svolti.
L’Unione degli universitari (UDU) non mette in dubbio che quella dei professori sia una battaglia “ giusta”, ma ritiene “inaccettabile e odioso” l’uso dello sciopero dagli esami di profitto come strumento di protesta. «E’ una modalità di agire che non tocca i veri responsabili dello smantellamento del sistema universitario» aggiungono, sottolineando che uno sciopero convocato a Camere sciolte, non ha neppure un concreto interlocutore di riferimento che possa garantire una qualche soluzione.
Il sindacato universitario Altro Ateneo dell’Università di Tor vergata, in una lettera aperta a tutta la comunità accademica rivendica a chiare lettere:”LE LOTTE SUGLI OBIETTIVI COMUNI SI FANNO INSIEME, SENZA LEDERE I DIRITTI DEGLI STUDENTI!”. Attraverso una petizione online il sindacato ha attivato una raccolta firme in favore dell’aggiunta di un ulteriore appello nella sessione estiva (per il recupero di quello perso durante lo sciopero). Tuttavia, dopo la richiesta di posticipo di tutte le scadenze per i laureandi della sessione estiva, gli studenti della seconda università romana hanno affermato di non voler “rinunciare a un nuovo tentativo di comunicazione con i docenti, per creare un fronte comune e coinvolgerli in una collaborazione tramite assemblee pubbliche e confronti con gli studenti che verranno convocati da qui fino a giugno”.
A 50 anni esatti dalle più cruenta guerra generazionale e sociale che prese avvio proprio dalle università, gli studenti nel 2018 scelgono la via del dialogo e della mediazione. Basta che nel frattempo i professori non siano divenuti i nuovi sessantottini 2.0!