Chi non ricorda la storica accoppiata Bud Spencer e Terence Hill nel celeberrimo film Lo chiamavano Trinità? Uno dei film più amati del western italiano, un film molto diverso dal classico western con scene violente, dove dalla prima immagine già moriva qualcuno. Lo chiamavano Trinità ha cambiato il corso del western italiano e lo ha reinventato attraverso la genialità del suo regista e sceneggiatore E. B. Clucher al secolo Enzo Barboni.
Per omaggiare questo grande regista a cento anni dalla sua nascita, l’Onorevole Fabrizio Sartori, Segretario d’Aula ha lanciato un’iniziativa accolta favorevolmente dal Comune di Roma e il 5 luglio nella Sala Protomoteca del Campidoglio si è tenuta una conferenza dove si è parlato di grande cinema e di uno dei suoi maggiori protagonisti: E. B. Clucher.
La conferenza è stata moderata dalla giornalista della Stampa Estera, Lisa Bernardini e sono intervenuti il figlio del grande regista, Marco Tullio Barboni, noto sceneggiatore e scrittore, la nipote Ginevra Barboni, regista come il nonno e definita dal sito Black Lab Film Co. una delle cinquanta registe più promettenti al mondo, che ha presentato la premiere del teaser del docu-film Ogni giorno trovato. Mio nonno in arte E. B. Clucher. Durante la manifestazione sono stati mostrati supporti audiovisivi e fotografici inediti appartenenti all’archivio privato della famiglia, inoltre, l’attore Sebastiano Rizzo ha letto ai presenti, un brano tratto dal libro di Marco Tullio Barboni dal titolo Matusalemme Kid. Alla scoperta di un cuore bambino dedicato al padre Enzo e a Bud Spencer. Non poteva mancare un contributo critico specialistico offerto da Giuseppe Costigliola, giornalista, traduttore e critico letterario. Una figura la sua, impegnata da anni nel recupero della memoria attraverso la raccolta di testimonianze di artisti e tecnici che hanno fatto la storia. A sottolineare l’importanza di questo evento culturale è stato, come ha confermato l’Onorevole Sartori, che è stata chiesta e ottenuta l’intitolazione di una strada romana a Clucher. L’iniziativa è stata patrocinata dall’Annuario del Cinema Italiano & Audiovisivi diretto da Elettra Ferraù. A conclusione del pomeriggio è avvenuta la Premiazione alla Memoria ad Enzo Barboni per mano della Presidente dell’Assemblea Capitolina, Svetlana Celli.
Ma chi era Enzo Barboni? Lo scopriamo attraverso le parole del figlio Marco Tullio Barboni, che in via esclusiva ci ha raccontato la vita di questo straordinario personaggio.
«Mio padre ha avuto una vita incredibile, ha cominciato a fare il cinema nel giro dei cinematografisti in Russia, esperienza particolarmente traumatizzante e formativa che ha cambiato anche il suo modo di vedere il mondo. Poi un amore viscerale per il cinema e in particolare per la fotografia, ha fatto tutta la gavetta dall’assistente operatore, operatore macchina, direttore della fotografia e in un trentennio ha conosciuto tutto il mondo, da De Sica a Totò, da Kirk Douglas a Kubrik. Alla fine degli anni sessanta un produttore che si chiamava Bolognini gli propose di fare la prima regia in un genere di film che non gli apparteneva, perché era un western molto duro molto violento. Lui lo fece, anche perché era un’esperienza per misurarsi con questa nuova attività alla quale è stato molto incentivato da mia madre che lo vedeva ogni volta sul set e diceva “guarda tu sei perfettamente in grado di dirigere un film perché non lo fai” e così scrisse questa sceneggiatura de Lo chiamavano Trinità che era in antitesi con tutti i cliché del western dell’epoca, che era un western violentissimo, durissimo, sanguinario il suo, invece, faceva un po’ ridere ed ebbe grandissima difficoltà a trovare chi lo volesse produrre. Poi incontrò Italo Zingarelli che era un produttore di grande acume e di grande intelligenza e fece quello che nessuno voleva fare e cioè produrre questo film. Era un film relativamente a basso costo ma sempre un impegno, una scommessa perché era un regista quasi esordiente con una storia completamente fuori da tutti i cliché, invece il film andò come andò per cui successo enorme di Lo chiamavano Trinità e Continuavano a chiamarlo Trinità ha cambiato tutta la prospettiva. Su Lo chiamavano Trinità io avevo 18 anni ed ero appena diplomato e feci la mia prima esperienza vera sul set, come secondo aiuto. Dopo l’università cominciai a scrivere il film che lui dirigeva perché feci tutti i corsi di sceneggiatura. A lui non gli sembrava vero, perché la parte più pesante era proprio la scrittura, mentre la direzione era il paradiso terrestre per una persona da set. Mio padre amava molto i rapporti umani e la troupe lo adorava, perché era uno di loro, era uno che veniva dalla gavetta per cui c’è sempre stato questo bellissimo rapporto, come si dovrebbe intuire dal breve teaser che ha creato mia figlia. Questo rapporto bellissimo con la troupe più ancora che con gli attori, con cui è sempre stato in rapporti molto belli ha favorito moltissimo l’atmosfera vera dei vari film per cui a Cinecittà lo chiamavano “er Sor Enzo” perché era uno di casa e a lui faceva piacere questa cosa, in quanto trovava un po’ ridicolo quelli che si facevano chiamare “Maestro”. Questa è stata una componente importante, il sapore che lui è riuscito a dare a tutti i film che ha fatto, questa leggerezza, questa ironia che man mano che andava avanti aveva sempre più potere nel poterlo esprimere».
Eleonora Francescucci