Focus group e momento informativo sull’accesso ai centri antiviolenza
Da gennaio di quest’anno, diverse realtà del territorio della città di Roma hanno portato avanti il progetto “Un Quartiere Transfemminista”, lanciato dal collettivo transfemminista del III municipio con il Cav Via Titano (zona Monte Sacro) in collaborazione con l’associazione Scosse, finanziato da ActionAid. Progetto itinerante che ha attraversato differenti scuole superiori della capitale, volto alla sensibilizzazione e alla realizzazione di una città più inclusiva e sicura. Il dibattito è stato incentrato su due dinamiche principali: il problema del linguaggio, e la lotta alla cultura dello stupro. Nell’evento conclusivo di tale progetto, svoltosi lunedì 4 luglio presso la Casa dei Diritti e delle Differenze, le operatrici antiviolenza di Lucha y Siesta, dello Sportello Donna del San Camillo, di Chayn Italia, LabPuzzle, DonnaL.I.S.A e Spin Off Roma hanno cercato di rispondere a diverse domande fondamentali, così da fornire dei primi strumenti necessari per la messa in atto delle pratiche di cura.
Cosa è un Centro Antiviolenza e come funziona?
Non capita di rado che le persone arrivino in un Centro Antiviolenza (CAV) senza sapere di che cosa si tratti davvero, spesso influenzati da una narrazione patriarcale che distorce la realtà di questi luoghi, che in realtà altro non sono che un’area di sicurezza e protezione nei confronti della donna.
Il primo passo per accedere a un CAV è quello di telefonare al numero verde 1522: dopo una breve chiacchierata con un’operatrice, la donna sarà indirizzata verso il CAV più vicino o più idoneo al suo specifico caso. È preferibile che sia direttamente la donna che ha subito violenza o abuso a rivolgersi al Centro, ma si tratta di strutture aperte anche ai famigliari, amici o a qualsiasi membro della collettività che voglia affiancare la donna nel suo percorso. Sottolineiamo bene la parola “affiancare”, in quanto nei Centri Antiviolenza si tende a dare un’assistenza attiva, in cui non ci si sostituisce mai alla donna, ma la si accompagna in tutto il suo percorso di fuori uscita dalla violenza. In un CAV si viene presi incarico in modo del tutto gratuito, e si può essere accompagnati passo passo nei luoghi di accesso al Welfare. In un Centro Antiviolenza possiamo infatti trovare: psicologhe professioniste, consulenti per il lavoro per favorire l’emancipazione della donna, educatrici e consulenti genitoriali per chi ha figli minorenni a carico, avvocatesse in grado di gestire le controversie legali. Quando ci rivolgiamo a un CAV, la denuncia della violenza subita non parte in automatico, sarà sempre decisione della donna decidere come e quando sottoscriverla. Oltre che da figure professionali, si può ricevere il supporto anche di gruppi di sostegno di donne o altre soggettività .
Come funziona un CAV che si trova all’interno di un Pronto Soccorso?
A Roma e provincia, soltanto presso l’ospedale San Camillo è possibile usufruire di uno Sportello Donna, attivo dal 2009. In questi casi si è soliti offrire maggiormente un servizio d’emergenza, in cui le operatrici svolgono oltre che un ruolo di assistenza, anche un ruolo di intermediarie tra la donna richiedente aiuto e l’equipe medica, troppo spesso non adeguatamente formata sul tema della violenza di genere e che rischia di esporre la donna a una condizione di vittimizzazione secondaria. Anche in questo caso la denuncia scatta in automatico solo nei seguenti casi: aggressioni o violenza su minori, violenze sessuali di gruppo, violenze in gravidanza, condizioni di non autosufficienza. Scatta da ufficio anche nel caso in cui la prognosi superi i 21 giorni, solitamente si tratta dei casi in cui la donna riporta lesioni interne o fratture. Non ci si sostituisce all’assistenza, ma già dal triage si inizia a cercare di mettere a proprio agio la donna, per avere una prima ricostruzione della vicenda. Le operatrici negli ultimi anni hanno purtroppo registrato un aumento delle violenze sessuali in tutte le fasce d’età. Con rabbia e amarezza, apprendiamo che sono diverse invece le testimonianze di donne che hanno subito violenze sessuali che non sono state credute in diversi ospedali dalla Capitale, ma in altri come, ad esempio, il sopracitato San Camillo è possibile richiedere l’avvio del Kit Anti-Stupro. Si tratta di una procedura lunga, che può durare diverse ore e prevede: una visita medica, tamponi (vaginali, orali, anali), conservazione a freddo dei vestiti così da poter essere usati come prove, analisi delle malattie sessualmente trasmissibili e infine il prelievo per la prova della droga dello stupro. Si tratta di una procedura che non è avviabile automaticamente, ma che richiede il consenso della privacy per ogni singolo step, andando così a scontrarsi spesso con una parte una burocrazia ingarbugliata. In particolare, è sull’ultimo punto che si presentano le maggiori criticità: i prelievi per le droghe dello stupro sono infatti disponibili soltanto in due ospedali della città: il Gemelli, che però attualmente presenta un macchinario rotto, e l’ospedale di Tor Vergata. Ammesso perciò che si riesca ad accedere al servizio, ci ritroviamo poi di fronte a un’altra grande barriera all’ingresso: il costo per nulla modico dei prelievi, pari infatti a 300 euro. Inoltre, tali prelievi devono essere effettuati a non più di dodici ore dalla violenza subita, altrimenti le tracce nel sangue non risultano più rintracciabili. Un’altra grande problematicità in caso di violenza sessuale riguarda la pillola del giorno dopo, che non può essere somministrata automaticamente come stabiliva la procedura di un tempo. Ora nel migliori dei casi la pillola viene prescritta in una ricetta in bianco, altrimenti si deve passare dal proprio medico di base; andando così ad aggiungere un’ulteriore spesa per la donna, e aumentando per tanto il gap economico-sociale tra le donne che possono permettersi l’assistenza completa e chi non può farlo.
Ho un’amica che subisce violenza, cosa devo fare?
Che sia un’amica, o semplicemente una vicina di casa, i CAV sono pronti a dare assistenza anche alle persone vicine alle donne coinvolte in episodi di abusi e violenze. Durante il lockdown Chayn Italia ha dato il via al progetto “Guida alla solidarietà di vicinato”, reperibile al seguente link: https://cdn.me-qr.com/pdf/7667148.pdf
In cui sono illustrate le varie modalità in cui possiamo tentare di aiutare una persona che si sospetta essere esposta a dinamiche di violenza senza metterla a disagio o in difficoltà. La violenza è infatti un problema della comunità e non solo della relazione intima tra due individui, ma come la stessa guida sottoscrive, bisogna sempre ricordarsi che non siamo noi ad avere il compito di salvare chi subisce abusi o violenze, il nostro compito è quello di stare accanto alla persona in questione nel percorso che deve essere però lei ad affrontare. Il maltrattante toglie infatti potere alla donna, nel momento in cui noi ci sovra ordiniamo, seppur con intenzioni totalmente differenti, contribuiamo a toglierle ancora altro potere, mentre la donna deve essere posta in condizione di riscoprire la sua forza, il tutto sempre con una comunità solida che la sostenga. Un’altra dinamica a cui stare attenti è quella di non cadere in quel processo per cui le nostre paure vengono anteposte al racconto della donna, che spesso viene così spinta a decidere di interiorizzare ulteriormente l’accaduto per non destare preoccupazione in chi la circonda. Si può cadere facilmente nella narrazione tossica della violenza anche sminuendo la gravità degli episodi raccontati. L’ascolto empatico e non giudicante e il rispetto dei tempi della donna sono infatti strumenti di cui non possiamo far a meno quando decidiamo di dare aiuto e solidarietà a chi ne ha bisogno.
Hanno partecipato all’evento
Cav. Via Titano (Lucha y Siesta)
Lab Puzzle
Sportello Donna San Camillo con la cooperativa BeFree
Chayn Italia
Centro DonnaLISA
Spin Off Roma
Aurora Mocci