«”Papà, spiegami allora a che serve la storia”. Su questa frase Marc Bloch ha costruito la sua opera monumento “Apologia della storia”. Nato a Lione il 6 luglio 1886, morto a Saint – Didier – de- Formans, 16 giugno 1944, è stato uno storico, militare e partigiano francese, tra i maggiori studiosi del Medioevo. Una significativa influenza su Bloch fu determinata dalle opere del sociologo Emile Durkheim, che prefigurò la successiva apoteosi di Bloch sulla ricerca interdisciplinare.
Da circa cinquant’anni l’”Apologia della storia” viene letta e riletta: scienza degli uomini nel tempo, comprensione del presente mediante il passato, e del passato mediante il presente. Questo libro non è una filosofia della storia, ma il monumento di un artigiano, che narra come e perché lavora lo storico, sino nell’umile e delicato dettaglio delle sue tecniche. Questo libro di metodo è anche il prodotto di un rigoroso stile di pensiero e di scrittura. Il pensiero di Bloch è una fluente meditazione sulla realtà umana, sul tempo, sulla storia come conoscenza. Le pagine sul metodo critico, soprattutto, costituiscono un contributo importante ad una logica del possibile, che trova nella storia – scienza dell’uomo, della vita e della terra – il suo banco di prova e che fa di quest’opera un classico di storia della scienza, una testimonianza fra le più importanti della rivoluzione scientifica del XX secolo. Questa premessa invita a non esprimere giudizi o veementi accuse postume, frutto di ignoranza manifesta. Visto che il tema della “guerra” è prevalente nel dibattito politico in ragione del fatto che tra i molteplici eventi storici di guerra due sono attivi nel cuore dell’Europa, popolo ucraino e russo e popolo israeliano e palestinese, il Segretario Nazionale della Democrazia Cristiana, dottor Angelo Sandri, ha aperto la stagione della discussione globale sulle guerre, che sarà ufficiata con la convocazione della direzione del partito per il 15 e 16 marzo presso la sala convegni dell’Istituto “Giovanni Paolo II” -Centro don Orione -, sito in via della Camilluccia n. 112, dove verranno programmate una serie di giornate di approfondimento in tutte le Regioni attraverso i rispettivi responsabili regionali, selezionando specifici eventi storici meglio attinenti al territorio di competenza. Oltre a problematiche peculiari del partito.
Chi scrive ha vissuto in diretta la seconda guerra mondiale e tutto il dopo guerra che ha rappresentato uno sforzo ciclopico di tutto il popolo italiano unito per la ricostruzione, ma non sono mancate feroci contrapposizioni che hanno comportato decisioni politiche marcatamente controverse, con effetti sui rapporti internazionali.
La scelta della Campagna di Sicilia.
Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 le forze Alleate britanniche e americane sbarcano sulle spiagge della Sicilia, ancora controllata dalle forze dell’Asse, nell’ambito della cosiddetta “Operazione Husky”. È la seconda più imponente operazione offensiva organizzata dagli Alleati nella seconda guerra mondiale, la più vasta in assoluto nel settore del Mediterraneo. Si riversano in Sicilia 160.000 soldati, 2.590 navi da trasporto di tutti i tipi, 1.800 mezzi da sbarco, 280 navi da guerra. È l’inizio del crollo del regime. Oltre a Mussolini, in molti erano convinti che lo sbarco degli Alleati in Sicilia sarebbe stato accolto da una forte opposizione. Ne era convinto il filosofo Giovanni Gentile quando pronunciò il suo discorso agli italiani in Campidoglio il 24 giugno 1943. Ne era convinto il capo di stato maggiore generale Vittorio Ambrosio. Ne era convinto Vittorio Emanuele quando disse a Dino Grandi: “Le nostre truppe resisteranno, combatteranno”. I fatti si sono incaricati di dimostrare il contrario.
La campagna di Sicilia merita un commento più diffuso perché ancora oggi non si ha una chiara conoscenza di quanto è avvenuto. E’ stata una campagna già decisa fin dall’inizio, quando le forze Italo-tedesche accettarono spavaldamente una lotta già perduta in partenza a causa della schiacciante superiorità dell’avversario. Durante il suo svolgimento, i fatti del 25 luglio e la caduta del Fascismo fecero passare inosservati fatti d’arme occultati per convenienze politiche. Gli stessi avvenimenti del luglio indussero le forze tedesche a non rispondere più agli ordini dei comandi italiani cui erano assegnate, creando situazioni insostenibili. Il tragico periodo della divisione degli italiani centrato intorno all’armistizio dell’8 settembre, diete facile sfogo ad intense reciproche accuse nei confronti degli oppositori dell’isola contro gli Alleati, che comunque avevano un ordine superiore da rispettare, essendo dei soldati. Dall’età della pietra chi comanda in tempi di presunta Pace impone le regole del vivere in comunità e severamente sanziona chi trasgredisce, in tempo di guerra o di conflitti sociali, la responsabilità e dei diretti confliggenti, che devono rispettare da una parte e dall’altra gli ordini provenienti dai rispettivi Capi.
La superiorità degli alleati rendeva impossibile impedire che la Sicilia venisse conquistata né si sarebbero potute rinforzare le forze dell’isola perché non era possibile attingere alle quattro divisioni dislocate in Sardegna né alle sette divisioni stanziate nella penisola. Lo sbarco non sorprese i comandi e le truppe, ma non poteva essere impedito. Le forze alleate non potevano essere ricacciate a mare, la sproporzione di mezzi ed il predominio assoluto degli Alleati sul mare e nel cielo rendevano ciò irrealizzabile. L’avanzata nel retroterra non fu eccessivamente rapida e generale Alexander aveva previsto 10/15 giorni per la conquista totale dell’isola; lo stesso dichiarò il generale Eisenhower. Le forze dell’Asse operanti in Sicilia contrastarono l’avanzata per 38 giorni.
Si sostiene da parte di alcuni studiosi che la scelta dell’inizio delle operazioni belliche in Sicilia sia stata facilitata, ma certamente non determinante, da un accordo segreto tra il famoso mafioso Lucky Luciano e personaggi legati alla FBI. Alcuni ricercatori di vicende storiche opache hanno avanzato l’ipotesi che l’FBI chiese a Lucky Luciano di aiutarli a controllare il porto di New York, (Fronte del porto – On the Waterfront – un film del 1954 diretto da Elia kazan – Marlon Brando) con lo scopo di prevenire sabotaggi, disciplinare la manodopera riluttante, ottenere uno sforzo bellico congiunto. Ma non esistono prove che il «Project Underworld», sviluppato all’interno degli Stati Uniti, abbia avuto un’appendice estera, vale a dire un intervento di Lucky Luciano verso personaggi dell’isola che aveva abbandonato all’età di nove anni. Inoltre, tra gli Alleati, le operazioni di intelligence, erano demandate agli Inglesi, e le dimensioni limitate dell’isola portavano a rendere difficoltosi, come documentato, i tentativi di infiltrazione. La mafia, uscita depotenziata ma tutt’altro che azzerata, considerato che l’operato del “prefetto di ferro” Cesare Mori non aveva sconfitto la mafia, approfittò della caduta del regime e comprese fin da subito che l’amministrazione alleata avrebbe rappresentato un’opportunità irripetibile per riacquisire il controllo del territorio.
Lucky Luciano era in galera durante lo sbarco. Nell’atto di scarcerazione c’era scritto che venisse espulso verso l’Italia: non è che lui lo gradisse, non aveva nessuna voglia di spostarsi, per lui l’Italia era un Paese straniero, era andato via a nove anni e si era sempre dichiarato americano. Il gangster Lucky Luciano nel 1942 dal carcere di Dannemora (dove scontava un pena di 30 anni) venne trasferito nella prigione modello di Comstock. Qui iniziò a far salotto con altolocati personaggi dell’amministrazione a stelle e strisce. Nel 1946 Luciano venne definitivamente scarcerato, ufficialmente perché aiutò a neutralizzare i sabotatori tedeschi nei porti americani, in realtà (come appare confermato da due commissioni d’inchiesta, una statunitense e una parlamentare italiana, quest’ultima risalente agli anni Novanta) gli vennero riconosciute tre legittimazioni concesse dagli statunitensi alla mafia: “la prima, il ricorso a capi mafiosi per la preparazione dello sbarco in Sicilia; la seconda, l’appoggio dato al movimento separatista; la terza la collocazione ai vertici delle amministrazioni comunali di politici sostenuti dai mafiosi o addirittura di boss mafiosi”.
Tuttavia, risulterebbe veritiero che molti mafiosi furono nominati alla testa delle amministrazioni liberate, ciò è dovuto al fatto che il Prefetto Mori non aveva sconfitto la mafia, tanto che in un rapporto ufficiale dello stesso Ministero dell’Interno, del 1938, ne descrive la struttura organizzativa. I mafiosi hanno gioco facile ad accreditarsi come esponenti di punta della società locale, e di rafforzare quel blocco sociale agrario-clericale che si oppose al movimento contadino, a partire dal quale faranno in seguito apprezzare agli Americani – che al momento dello sbarco li consideravano come degli interlocutori di necessità, retaggio dell’arretratezza siciliana – sia la propria genetica incapacità di comprendere l’antropologia dei territori altri sia il proprio anticomunismo viscerale, che non ha portato alla diffusione della auspicata democrazia e neppure al Bene comune. Ancora e per sempre “Amatevi gli uni con gli altri”, come mi ha insegnato un bambino e mi ha consentito di comprendere che non è solo una invocazione religiosa, ma una tragica necessità, altrimenti i vinti di oggi saranno i vincitori di domani, come insegna il filosofo Gianbattista Vico (Napoli 23 giugno 1668 – Napoli 23 gennaio 1744) Verum esse ipsum factum (“Ciò che è vero è precisamente ciò che è fatto”).
Di Carlo Priolo portavoce, segreteria politica nazionale Democrazia Cristiana