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Roma al bivio sui trasporti: il referendum consultivo può davvero cambiare le sorti della Capitale?

Seggi aperti dalle 8 alle 20 di oggi. Sul quorum scattano le prime polemiche: un'impresa raggiungere il 33%

Valentina Pigliautile by Valentina Pigliautile
11 Novembre 2018
in Cronaca
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Roma al bivio sui trasporti: il referendum consultivo può davvero cambiare le sorti della Capitale?
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C’è chi urla alla privatizzazione selvaggia e chi se la prende con il monopolio di Atac; chi non sa neppure se andrà a votare. Dei 2,4 i milioni romani chiamati alle urne per il Referendum sul trasporto pubblico di oggi, nessuno sembra avere la minima idea dell’esito e delle conseguenze che tale consultazione produrrà. Per raccontare la situazione del trasporto nella capitale, oltre agli abitanti e ai pendolari, servono i numeri: su un’area di 1285 chilometri quadrati coperti da servizio Atac, il numero dei chilometri percorsi effettivamente si attesta intorno ai 150.350.000, circa 20 milioni in meno rispetto a quelli di Atm (Azienda trasporti milanesi) che opera su territorio d’estensione ben più ridotto incassando profitti doppi. Su un totale di 13000 dipendenti, di cui 6000 solo autisti, 12,5% è – come riportato dal Sole24ore – la percentuale di assenteismo registrata. Ma il vero scoglio della municipalizzata rimangano i 1,3 miliardi di debito per cui la Sindaca Virginia Raggi ha ottenuto il concordato preventivo, unica via per evitare il fallimento.

Non stupisce che a fronte dei 4 milioni di pendolari, siano in crescita le previsioni sul numero di persone che decidono di spostarsi in auto nonostante il rischio di rimanere imbottigliati nel traffico. Secondo un sondaggio della Ford Motor Company, su un campione di 5.500 cittadini intervistati in sei città europee, proprio i romani sono quelli che in misura maggiore pensano che lo spostamento casa/lavoro sia sempre più faticoso. Accantonate critiche e mancanze che la giunta Raggi ha a che spartire con numerose giunte, spetta a lei ora, all’amministrazione grillina, la responsabilità di impedire che “tutto cambi perché nulla cambi” per l’ennesima volta.

 Per il Referendum sull’Atac si voterà oggi domenica 11 NOVEMBRE 2018 dalle 8 alle 20. Quasi 2 milioni e 400. Il referendum consultivo per scegliere se liberalizzare o meno il trasporto pubblico locale è promosso dai Radicali e dal Comitato “Mobilitiamo Roma”.  Si voterà nei consueti seggi elettorali e occorreranno documento d’identità e tessera elettorale che – come avviene per tutte le consultazioni – non sarà timbrata.

   Primo quesito

“Volete voi che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e su rotaia mediante gare pubbliche, anche a una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e la ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio?”

Secondo quesito

“Volete voi che Roma Capitale, fermi restando i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia comunque affidati, favorisca e promuova altresì l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza?”

Il fronte del Sì, Mobilitiamo Roma e Radicali: “Basta Atac”.

Occhi azzurri, tono pacato ma volontà incrollabile: è questo l’identikit di Riccardo Magi, il segretario dei Radicali Italiani che è promotore con il comitato Mobilitiamo Roma del referendum e parte del fronte del Sì – che conta tra gli altri – anche il PD e Forza Italia.

“Questo referendum serve a far sì che i cittadini si esprimano in modo democratico e partecipativo su una riforma” spiega Magi sottolineando il valore costruttivo dell’iniziativa. “Ciò su cui i cittadini romani sono chiamati a votare sono le modalità con cui il comune affida il servizio”. Invece dell’affidamento in house a un’azienda controllata al 100 % dal comune, si procederà con l’affidamento tramite gara. Questo è risolutivo dal momento che l’ATAC oggi non rispetta il contratto di servizio: il comune dovrebbe applicare delle sanzioni, ma farlo vorrebbe dire applicarle in realtà a stesso e per giunta a una azienda con più di un miliardo di debiti sulle spalle. Messa a gara del servizio e apertura a forme di trasporto pubblico collettivo non di linea sono le due proposte che vanno ad opporsi alla scelta dell’amministrazione che secondo Magi “vuole limitarsi a salvare la struttura ma a non fornire nessun servizio”.

Magi scongiura l’ipotesi “privatizzazione”: il servizio di trasporto messo a gara se assegnato ad una o più aziende private, rimarrebbe pubblico. Questo non esclude che possa essere l’ATAC (nel caso fosse rimessa in sesto con un piano aziendale serio) ad aggiudicarsi parte dell’appalto.

Molti si domandano se il comune sarà in grado di vigilare su dei privati ma dal sito Mobilitiamo Roma arrivano rassicurazioni sulla questione e sul probabile costo del biglietto: ”Con una liberalizzazione autentica, cioè con una pluralità di operatori, il comune avrebbe maggiore controllo rispetto alla situazione attuale (…) Vigilare sul costo dei biglietti è e rimarrà compito del Comune. Alcuni economisti della Cornell University e della Southern University of California mostrano che, in uno scenario in cui alla fornitura pubblica si sostituisse quella privata, i costi operativi si ridurrebbero di 5,7 miliardi di dollari, pari al 30% delle spese totali realizzate negli Stati Uniti per la fornitura di servizi di trasporto pubblico locare nel 2011.Tale risparmio permetterebbe inoltre di ridurre il costo dei biglietti, aumentando così l’utilizzo del trasporto pubblico e generando – in uno scenario di totale privatizzazione – un guadagno in termini di welfare pari a 524 milioni di dollari.”

I costi ATAC sono poi costretti a lievitare: Il servizio di trasporto pubblico è finanziato per la maggior parte dalla fiscalità generale e molto poco dai biglietti (circa il 30%). Questo vuol dire che ogni romano paga il servizio prima ancora di usufruire dei mezzi, in una cifra calcolata di 170 euro l’anno a cittadino.  E risanarla a fronte di 1,3 miliardi di euro di debito e ogni anno ulteriore deficit di oltre i 100 milioni è impossibile per l’incapacità della stessa di erogare il 100% del servizio che le è richiesto dal contratto di servizio del Comune.

Esempi di aziende private che gestiscono servizio pubblico si hanno a Parigi e anche a Londra e a Barcellona dove sussistono “sistemi misti” che hanno prodotto risultati soddisfacenti evitando i monopoli e costi dell’offerta elevati.

 Mejo de no: chi si oppone e perché.

Dato per appurato che lo status quo dell’ATAC fa storcere la bocca anche a loro, c’è da dire che il fronte del No si è andato allargando a vista d’occhio nell’arco delle ultime settimane: da Paolo Berdini, primo e dimissionario assessore all’Urbanistica della giusta Raggi e presidente del Comitato “A B C, Atac bene comune”, passando per il comitato Mejo di no (che include molti del PD) fino a Cgil, Cisl, Uil. In campo per il no anche Vittorio Sartogo, presidente dell’associazioneCalma(Coordinamento associazioni Lazio mobilità alternativa), Stefano Fassina, consigliere Sinistra per Roma e deputato LeU, e infine la sindaca Virginia Raggi con il sostegno del M5S.

Perché no. Chi sostiene le ragioni del no critica il paragone con altre realtà, dal momento che il trasporto pubblico locale si distingue città per città: la straordinarietà di Roma è sufficiente per giustificare inapplicabilità del modello concorrenziale.

Il punto dolente dello stallo romano è il “problema infrastrutturale”: la Capitale ha una rete tranviaria e metropolitana molto piccole e questo significa che la maggioranza del servizio viene erogata con autobus al contrario di Milano. L’unico modo – a detta del Fronte del No – per risolvere il problema infrastrutturale è completare il Piano Regolatore Regionale: si creerebbe una rete che non causerebbe più diseconomie permettendoci di raggiungere i livelli delle altre capitali europee.

La liberalizzazione, con una tale infrastruttura comporterebbe una riduzione del servizio perché le problematiche di redditività che oggi insistono sulla rete rimarrebbero del tutto inalterate e l’inserimento forzato di un regime di concorrenza in questo assetto accelererebbe il fenomeno di riduzione del servizio universale già in atto.

Mejo de No rivendica l’affidamento in house: questo infatti è “l’unica garanzia di affidamento ad una società che non privatizza i profitti a scapito invece di costi sostenuti dai cittadini. Non esistendo guadagni interni al sistema ma solo i guadagni dovuti alla spesa pubblica, affidare al privato significherebbe far ricadere sulla collettività le spese per sostenere un’azienda che non è della collettività”.

Il grosso grasso pasticcio romano sui trasporti non può essere risolto da un giorno all’altro. E intanto brucia la ferita per gli anni di gestione superficiale e inoculata: brucia la Capitale, per l’ennesima volta nell’occhio del ciclone. Chissà che dopo il voto di oggi gli autobus – almeno quelli – non brucino più.

 

 

Tags: AtacRegione LazioRiccardo MagiRomaTrasporti Roma
Valentina Pigliautile

Valentina Pigliautile

Romana di nascita, umbra per vocazione. Classe 97'. Mi sono occupata di teatro per 2duerighe.com e di cultura e attualità per NumeroZero. Il vizio per la politica l'ho tenuto da parte per PaeseRoma. Sono iscritta alla facoltà di Lettere e Filosofia di Roma Tor Vergata ma la lista dei difetti non finisce qui. Ho un debole per le pieghe dell'attualità e per le piaghe della realtà sociale. Alla fine ho scelto la penna per descriverle, e a modo mio, combatterle.

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