Tutti sanno che l’esordio alla regia Paola Cortellesi è stato tripudio. Non ci si può che congratulare per la bravissima attrice che già aveva dato grande prova di sé al cinema riuscendo a sconfinare dallo stretto del comico per esprimere il “ben altro” sotteso nell’ironia dei suoi personaggi. Il film C’è ancora domani è arrivato a diciannove candidature al David di Donatello. Ha incassato di più nel 2023 e della stagione 2023-2024. Fa sognare sul fatto che non esista una crisi nel cinema, sia contenuti che di botteghini. Il film di Cortellesi è un chiaro segno di contraddizione a questa tendenza.
Il film ha fatto molto parlare. Ma di sé, non delle tematiche contenute perché trattate in modo parossistico e surreale con intermezzi da far supporre come la fantasia e la consistenza vera dei sentimenti vadano in un’altra direzione della mera fattualità. Ed è questo il merito profondo della narrazione.
Del film parla anche Frankfurter Allgemeine Zeitung. Lo spunto chiaramente però consiste nel parlare del patriarcato, problema non risolto in Italia come dimostra la vicenda dell’omicidio di Giulia Cecchettin. Ed è un problema, dice il giornale tedesco, che l’Italia non ha ancora risolto.
L’ambientazione da film realista dei primi anni Cinquanta non riesce a caratterizzare la collocazione temporale delle vicende di vita domestica narrate. La Madre Coraggio di quei tempi non ha eserciti invasori come quella di Brecht coi quali stabilire dei giusti contatti per sopravvivere. Deve vedersela con una sola entità: il marito che rappresenta la tendenza più forte del momento consistente nella gerarchia assoluta degli uomini.
Ma resistere ha un senso. Resistere anche ai sogni di fuga che non porterebbero a nulla per rispondere alla chiamata delle elezioni a suffragio universale dove moltissime donne fanno la fila per votare.
L’operazione che si tenta con successo solo di botteghino è quella di mettere assieme un asse valoriale con la vicenda poggiante su due assi: quello realistico e quello umoristico. Si vuole far riflettere sulla condizione della donna, con la provocazione di evidenziare la sua attualità, da una parte. Dall’altra se ne alleggeriscono i contenuti drammatici con l’introduzione di sospensioni umoristiche. Alla fine non si capisce se si è riso e si è riflettuto con questo film. Sicuramente l’uno e l’altro, ma in modo molto lieve.
Ma il grande successo di pubblico l’overdose di botteghino risponde a ogni dubbio ed è lui a dare le risposte alle domande che hanno un senso. Quel che insegna il film, in definitiva, è questo: il successo e gli incassi danno risposte anche a quello per cui non c’è risposta.