Emmanuel non torna indietro sull’impegno dell’esercito francese prospettato nel conflitto ucraino. Anzi, rilancia. Parla di un protagonismo forte che l’Unione deve trovare.
Del resto è a un passo dal senso comune. L’ordine impartito da Yalta in cui i tre eserciti vittoriosi si spartirono il controllo e l’egemonia nel mondo – Churchill, Roosevelt e Stalin – non esiste più. Il Regno Unito è il nostalgico ricordo di quell’impero e già al tempo era in trattativa in condizioni di inferiorità davanti ai russi che oggi però sono confinati ad essere provincia del mondo. E agli Stati Uniti, in forte affanno, con il ruolo che si erano dati e sempre più dubbiosi sui ritorni dell’idea di impero sulla quale si sono crogiolati dal secondo dopoguerra. Le elezioni negli Stati Uniti sono l’evidenziazione di questa grande crisi di identità con scenari di conflitto reale o potenziale sui quali la loro parola conta sempre meno. E secondo l’opinione pubblica americana che non investe le due coste è abbondantemente persuasa sul fatto che su questa impostazione si debba recedere. La Russia ridotta a potenza regionale che deve vedersela in beghe territoriali.
Il desolante quadro del mondo è totalmente cambiato. Si deve necessariamente prenderne atto.
Ed è in questo quadro di degrado assoluto dei vecchi rapporti di forza che crescono prepotentemente Cina e India. IN questo generalissima sintesi, ma non meno realistica, serrare le fila da parte dell’Unione è una necessità i cui tempi non possono essere rimandati. Come nella crisi climatica: “è già tardi”.
Ma la campanella che suona a tutti i paesi di Europa non serve a sollecitare il divenire di un progetto necessario. Serve a fare il primo della classe per stabilire, davanti la necessità dell’intensificazione dei rapporti tra paesi e davanti alla crescita della potestà decisionale, il ruolo di primo della classe.
È quello che alza il dito davanti alla maestra per dire: “io lo avevo detto”. Tanto non paga pegno per questa levata di scudi. Negli Stati Uniti la crisi di identità è troppo forte. La tentazione, anche, di recedere in termini di potere e gestione per dedicarsi totalmente all’unica cosa che conta – avendo già gli arsenali bellici più potenti del mondo. I mercati, il controllo dei grandi flussi, la capacità di garantire i grandi capitali.
L’Europa in tal senso è alle secche. Come fosse una lente di ingrandimento del nostro paese, vede smobilitare la capacità di fare impresa e di competere nel mondo. Sempre più terra di provincia, sempre più relegata all’antica illusione di dare lezioni al mondo. E forse il resto del mondo glielo fa credere. La sostanza delle cose che procedono però sta in un’altra direzione.
Quindi è per questo che Macron , come ha fatto alla Sorbone, dà una sveglia. Conferma anche la possibilità di impiego di risorse militari. Ma anche se la Storia gli desse ragione in questa fuga in avanti questa non sarà vòlta a un cambiamento di conduzione europea. Bensì per stabilire una sua leadership, visto che in Francia può dire ben poco.