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Home Politica

Il Nerone di Edoardo Sylos Labini in scena al Teatro Manzoni

A raccontarcelo è lo scrittore David Colantoni

Redazione by Redazione
14 Ottobre 2014
in Politica
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Il Nerone di Edoardo Sylos Labini in scena al Teatro Manzoni
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Nerone. Un momento dello spettacolo
Nella foto Edoardo Sylos Labini nei panni di Nerone

Nerone, pazzo o profeta? Se lo chiede e ce lo fa scoprire Edoardo Sylos Labini, che mette in scena al Teatro Manzoni di Milano lo spettacolo “Nerone. Duemila anni di calunnie”, tratto da un saggio Massimo Fini, da un’idea di Pietrangelo Buttafuoco. Dal 2 al 19 Ottobre gli spettatori potranno assistere a un’inedita lettura di una delle figure più controverse della Storia di Roma, un Imperatore che, nella cultura ufficiale e scolastica, ha da sempre rappresentato il volto più oscuro e distruttivo del potere.

Sylos Labini – attraverso la drammaturgia di Angelo Crespi e l’interpretazione di  Sebastiano Tringali, Dajana Roncione, Giancarlo Condè, Gualtiero Scola, Paul Vallery e gli allievi attori della ADIacademy, con la partecipazione di Fiorella Rubino – rivede e smentisce con grande efficace questo “luogo comune”, come ci racconta lo scrittore David Colantoni che ci ha gentilmente concesso questa interessante sua analisi: 

David Colantoni a cui abbiamo chiesto di dirci tutto sull'ultimo lavoro teatrale di Labini
David Colantoni a cui abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa dell’ultimo lavoro teatrale di Labini

«Non mi piace Russel Crowe, trovo che sia un attore abbastanza sciapo. Vederlo recitare mi annoia tremendamente. Vedo sempre il fatto che recita più facilmente di quello che recita. E’ che non riesco mai a innescare, la suspension of disbelief davanti al lavoro di certi attori. Sono li che vedo piuttosto l’evidenza del fatto che per un qualche miracolo a me oscuro vengono osannati in massa.

Dunque quando ho visto il Gladiatore di Ridley Scott sapevo che avrei visto un film sicuramente ben fatto ma certamente commerciale. Ed era cosi. Fatto sta’ che ho rivisto questo film diverse volte. Perché? Perché sono rimasto abbagliato dalla grandezza di Joaquin Phoenix e dalla bellezza del personaggio di Commodo. Il film sembrava un anello di volgare latta pacchianamente verniciato d’oro, la parte commerciale, con incastonata una pietra autentica di pazzesca bellezza, l’interpretazione di Phoenix del personaggio di Commodo.

Due tipologie di attori stavano a confronto in questo film. L’attore di grido, la star-Feticcio dell’industria culturale, che ci deve stare per il botteghino, Crowe, sempre uguale a se stesso, e l’attore autentico e grande, Joaquin Phoenix, in un ruolo secondario, in un film d’arte dentro a un film di cassetta, capace di illuminare di una folle potenza artistica il suo personaggio. Di esserlo in una maniera così totale che lo spettatore perde coscienza di essere spettatore e entra nell’incanto della sospensione della incredulità: la magia dell’arte.
Le premesse con cui sono entrato pochi giorni or sono nel teatro Manzoni di Milano a vedere NERONE, di e con Edorardo Sylos Labini erano queste. Che sono in un paese in cui la mediocrità ha trionfato sul talento e sul genio ormai da lunghi decenni. Anzi ora mi dico che ero entrato inconsciamente, con quella masochistica e necessaria, certezza di trovare ancora l’ennesima conferma di questa atroce nebbia italiana sotto cui si camuffano truffe artistiche di ogni genere e natura. Di questa infestazione di persone che non sanno fare quello che fanno, ma che lo fanno perché sono Amici. Soci. Clienti. Per una serie di facilmente immaginabili e ovvi (anche miei) pregiudizi di sinistra, e cioè che solo quelli di sinistra fanno arte con la A maiuscola, poi su Edoardo Sylos Labini lo davo per incontrovertibilmente certo. La cultura in Italia è ormai una catastrofe ambientale irreparabile. Dinastie di mediocri si sono ormai consolidate cosi profondamente nel paese che stanno lì come una inamovibile, placida, barriera corallina in cui separate dalle profondità oceaniche della vera vita, galleggiano minime creature. Solo una terza guerra mondiale o qualcosa di simile, potrebbe spazzarle via. E non dico per modo dire.
I primi minuti seduto nella poltrona 84 della fila 7 del Manzoni li ho dunque passati aspettando il momento di dire a me stesso ecco la solita broda italiota, ecco il solito dilettante che ha rubato la scena a qualcuno che la meritava molto di più e che non la vedrà mai. Ecco il solito stucchevole spettacolo..

Invece mi sono trovato davanti un Attore di straordinaria Bravura e di grandissimo talento. La cui forza in scena, meditando a posteriori, non poteva che essere che il frutto di un durissimo lavoro e sudore “operai”. Entro quella manciata di primi minuti da spettatore, in cui io, uomo di “sinistra” – tanto per restare in registri convenzionali da “pollaio italiano” , come amava dire lo scomparso caro Aldo Rosselli – che per uno strano caso ero capitato a vedere uno spettacolo di un attore e regista di “Destra”, stavo aspettando il momento di dichiarare la mediocrità di quello a cui stavo assistendo, sono stato completamente spiazzato e ho cominciato a provare il formicolio diffuso di una strana felicità nel riconoscere che ciò che avevo davanti aveva completa dignità artistica. E che questo lavoro, con l’intento di ribaltare una vulgata millenaria su uno dei grandi protagonisti della storia Romana, l’imperatore Nerone, era non solo ottimo per qualità artistica, ma anche invitante a una riflessione, decisamente universale e umanistica, sul potere come macchina deumanizzante o sovraumana tout court: Che nessuno creda di essere nel potere immune dalle derive patologiche che gli sono consustanziali. Il potere lo si giudica solo nell’abbandonarlo o nel rifiutarlo. Se lo si vuole giudicare praticandolo ma attribuendone esclusivamente agli avversari le sue negatività, allora si è in piena ideologia, in piena mistificazione. In totale ideologia.

Il lavoro di E.S. Labini viene da una libera scrittura, in collaborazione con Angelo Crispi, su un saggio di Massimo Fini atto a rivisitare in senso positivo, a demostrificare, la figura di Nerone, ultimo membro della dinastia Giulio Claudia , divenuto imperatore giovanissimo, a diciassette anni, suo malgrado e grazie alle manovre di sua madre Agrippina Minore.
Stiamo parlando di una delle famiglie Romane la cui storia ci è stata tramandata sulla quale l’impatto del potere è stato più devastante e che rappresentano un immortale paradigma di ciò che la condizione del potere può sulla fragile natura dell’animo umano. Fonte di ispirazione per molte opere. Basti pensare al Caligola di Camus ad esempio.

Nerone era Nipote di un tal Germanico, Console Romano fatto uccidere da Tiberio, timoroso della sua statura di uomo probissimo, fedele più alla cosa pubblica che alla propria vita e di grande generale vittorioso e talmente amato dal popolo romano da far sentire Tiberio incerto sul proprio trono. La madre di Nerone, Agrippina Minore, figlia di Germanico e discendente di Augusto, era tornata orfana del padre a Roma, insieme ai suoi fratelli e a sua madre Agrippina maggiore ormai vedova. Magistrale il racconto che ne fa Tacito negli Annales, quando la descrive all’arrivo al foro, di ritorno dalla lontana città di Antiochia di Siria in cui Germanico era Console, tra due silenziose ali di folla, circondata dai suoi nove figli e pietrificata dal destino che già sapeva attenderli di morte e persecuzione.
Agrippina Minore era anche l’unica sopravvissuta allo sterminio della sua famiglia iniziato e perpetrato da Tiberio ma concluso da Messalina con la decapitazione di Livilla, sua ultima sorella, e fu data da questi appena 14enne in sposa a Domizio Enobarbo, dunque padre di Nerone, uomo e marito che Agrippina odiava, figlio di Antonia Maggiore, figlia di Ottavia, dunque bisnipote di Augusto, ed era Agrippina Minore anche sorella di Caligola, che Tiberio aveva voluto presso di se, costringendolo giovanissimo a essere testimone dei suoi vizi imperiali, mentre altri suoi fratelli li aveva fatti morire nei modi più orribili. Ramo di Una famiglia imperiale, quella di Caligola-Agrippina Minore-Nerone, che discendente da un uomo buono, Germanico, che aveva dovuto pagare con la vita per il semplice fatto di essere amato dal popolo e morigerato, si è trovata ai vertici del potere imperiale dopo aver subito dalla macchina di questo stesso potere delitti orridi e dunque traumi psichici ed esistenziali atroci, come appunto lo sterminio di tutti i propri congiunti. E dunque… e dunque… si capisce bene come i piani morali, politici, esistenziali e psicologici siano avviluppati nel destino di un Princeps come Nerone in un groviglio gorgiano inestricabile destinato a concludersi fatalmente in tragedia. E in un atroce conflitto di Odio/amore verso il Potere che da un lato gli aveva messo il mondo conosciuto ai piedi, dall’altro gli aveva portato l’orrore degli omicidi politici nel proprio sangue estinguendogli tutta la famiglia, e la condanna a non poter seguire vocazioni altre da quelle del comando come quelle dall’arte..

La miseria dello sguardo contemporaneo sulla vita umana ha dimenticato quanto fragili creature rimangano gli esseri umani anche se investiti di immensi poteri e ricchezze e quali baratri di solitudine si trovino ad affrontare uomini e donne tanto più quanto sono potenti. E quanto questa solitudine possa diventare la tiranna dell’anima del principe quanto più esso è messo con le spalle al muro da un pensiero e una società che lo pensa e lo tratta solo come figura politica e dimentica il suo essere creatura umana condotta dal destino a vertiginose altezze dalle quali spesso finisce per precipitare, travolgendo tutto ciò sui cui ha imperio, nella catastrofe. Al Moralismo odierno, e al bigottismo su cui si è appiattita la cultura e anche la politica di questi giorni, potrebbe essere rivolto l’invito di questo ottimo lavoro teatrale di tornare a guardare alla storia e alle sue magistrali lezioni , a guardare a figure storiche che sono restate schiacciate dalla propria tragica grandezza, e a guardare con occhi erodotei le “imprese grandi dei greci come anche quelle dei barbari affinché non siano dimenticate..”, mitigando il miope moralismo che infiamma la nostra sfera pubblica, cioè a non sentirsi mai dalla parte giusta del potere, come è storicamente caro sentirsi per la sinistra, dispiace dirlo, perché il potere è un’arma che non ha manici ma solo doppie lame, che finiscono per uccidere/ferire sia coloro verso le quali sono rivolte sia coloro che verso qualcuno le rivolgono. È solo nella guida dell’anima del “principe”, sia esso un uomo, sia esso un consesso plurale, da parte della vera cultura, di una cultura e di una arte senza paura della politica, che da i suoi mali ci si può eventualmente salvare.

Bella anche la regia della pièce, prodotta insieme a sua moglie Luna Berlusconi, piena di contaminazioni tra teatro dell’assurdo, musical , surrealismo, commedia, etc che non sono mai forzate, mai caricaturali e che funzionano benissimo sorprendendo più volte lo spettatore con i suoi scarti di registro , e in cui un DJ, cifra stilistica da sempre degli spettacoli di Edoardo Sylos Labini, come ho appurato in seconda istanza, fa da deus ex machina metateatrale, suonando in scena le musiche delle stesse scene. Un lavoro in cui anche il pubblico interpreta un personaggio immortale della storia, la folla. Un teatro dunque a più livelli, accessibile a livello popolare, quasi pedagogico per il suo valore anche divulgativo, in un paese tragicamente analfabeta di ritorno, ma assolutamente godibile, per le innumerevoli citazioni e riferimenti coltissimi di cui è fitto, per un pubblico culturalmente preparato. Come bella e efficace è anche la scrittura drammaturgica di Angelo Crespi, liberamente tratta dal di saggio di Fini che leggerò ovviamente a breve.

La Bravura di E. Sylos Labini nel Nerone mi ha fatto ricordare la bravura straordinaria di Joaquin Phoenix nell’interpretare l’imperatore Commodo nel Gladiatore e nell’illuminare le segrete e complesse profondità, quasi erotiche, del rapporto della psiche umana con il potere.

Ho insomma scoperto un grande Edoardo Sylos Labini, ottimo regista e attore che non ha Nulla da invidiare ai grandi attori di sempre. Nessuna incertezza, nessuna imperfezione, nessun dubbio, sono restato colpito anche dalla perfetta impostazione vocale, quasi da doppiatore, e lo stesso dicasi dei altri attori, che interpretano Seneca, Otone, Fenio Rufo, Agrippina, Poppea tutti molto bravi, cosa rarissima negli attori italiani contemporanei, troppo spesso tremendamente penosi per la innaturalezza con cui usano la voce. E mi viene da ri-dire che questo paese calza maledettamente stretto, in tutti i campi, ai talenti che genera».
Uno spettacolo da vedere, per leggere la Storia da un altro punto di vista, oltre i luoghi comuni. Per chi non facesse in tempo è prevista una tournée italiana in inverno.

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