
In un silenzio che pesa come piombo, mentre il mondo prova a riprendersi da una pandemia che ha segnato un’epoca, circola una notizia che, se confermata, potrebbe riscrivere molte pagine di questa tragedia globale. Si parla di una presunta sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che, accogliendo le tesi di Robert F. Kennedy Jr. e di altri legali impegnati contro l’industria farmaceutica, avrebbe stabilito che i vaccini a mRNA non sono veri vaccini, ma terapie geniche sperimentali, e che i danni che possono causare sono, in alcuni casi, irreparabili.
È difficile restare indifferenti davanti a parole così forti. Ed è ancora più difficile non pensare, in questo momento, a tutte le persone che, in questi anni, hanno perso la vita. C’è chi è morto a causa del Covid, spesso solo, isolato, in ospedali trasformati in fronti di guerra. C’è chi è morto dopo una vaccinazione, tra reazioni impreviste, silenzi medici e indagini che non sempre hanno fatto chiarezza. Ogni nome, ogni volto, ogni storia è un dolore inciso nella memoria collettiva, e oggi più che mai merita rispetto, verità e giustizia.
Secondo quanto riportato da alcune fonti indipendenti, questa sentenza americana – se autentica – segnerebbe un momento storico, perché non solo smonterebbe la narrativa ufficiale che per anni ha sostenuto la sicurezza dei vaccini, ma getterebbe luce su un’intera infrastruttura economica e politica che, a detta dei promotori della denuncia, avrebbe anteposto gli interessi delle lobby farmaceutiche alla salute delle persone. La notizia, però, viene ignorata dai media mainstream, come se un muro di silenzio volesse soffocare ogni voce dissonante, ogni domanda scomoda, ogni dubbio legittimo.
In Svizzera, si ricorda, esistono articoli costituzionali che vietano l’uso improprio dell’ingegneria genetica. E il Codice di Norimberga, nato dopo gli orrori del nazismo, è chiaro: nessun trattamento medico può essere imposto senza il consenso libero e informato. È una linea sottile, ma fondamentale, quella che separa la medicina dalla manipolazione, la scienza dal profitto cieco, la cura dall’esperimento.
Mentre leggi come queste tornano al centro del dibattito, il pensiero non può non andare a chi non c’è più. A coloro che si sono fidati, a chi ha creduto che proteggersi fosse un dovere, a chi ha combattuto una malattia terribile o ha subito effetti collaterali mai riconosciuti. Non si tratta di negare l’utilità dei vaccini o l’impegno della stragrande maggioranza dei medici. Si tratta, piuttosto, di ascoltare anche le voci che hanno sofferto in silenzio, che sono state ignorate, ridicolizzate, messe a tacere. Si tratta di ridare umanità al dolore.
Non è tempo di processi sommari, ma di riflessione. Di memoria. Di verità. Perché se davvero la giustizia ha parlato, se davvero la Corte Suprema ha tracciato un confine tra ciò che è cura e ciò che è abuso, allora è nostro dovere non voltare le spalle. È nostro dovere condividere, sapere, chiedere risposte. Non per alimentare la paura, ma per onorare i morti e proteggere i vivi.
In un tempo in cui tutto sembra sfuggire, ciò che resta – oltre le polemiche, oltre la politica – è la vita che abbiamo perso. E il dovere di non dimenticare.