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I nervi saldi che serviranno al prossimo governo

I punti di forza delle finanze italiane

Gaetano Massara by Gaetano Massara
5 Settembre 2022
in Economia, Editoriale
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I nervi saldi che serviranno al prossimo governo
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Il Financial Times del 25 agosto scorso ha riportato di hedge fund che stanno scommettendo sulle prossime presunte difficoltà dell’Italia ad onorare il proprio debito sovrano e sulla perdita di valore dei titoli del nostro debito pubblico. Tali fondi hanno infatti già investito 39 miliardi di euro in future collegati ai BTP decennali, opzioni di acquisto dei titoli a prezzi più bassi di quelli attuali. Era dalla crisi del 2008 che i mercati non indirizzavano una speculazione così massiccia contro l’Italia.

Secondo il quotidiano londinese, la scommessa degli investitori è dovuta alle crescenti difficoltà dell’economia italiana a far fronte all’impennata dei costi energetici seguenti al taglio delle forniture russe e al teso clima politico pre-elettorale.

Il Financial Times evidenzia anche le vulnerabilità dell’Italia associate alla fine degli stimoli monetari della Banca Centrale Europea, la quale ha avviato un programma progressivo di rialzo dei tassi di interesse e di riduzione dell’acquisto di titoli degli Stati della zona euro.

Il timore è che il governo venturo, molto probabilmente di Centro-destra, adotti politiche che possano accentuare la vulnerabilità dei conti pubblici. La “tassa piatta” (che in realtà piatta non è), “quota 41”, l’azzeramento dell’IVA sui beni di prima necessità e il Servizio Nazionale di Cittadinanza per la difesa militare, la protezione civile e il soccorso pubblico sarebbero misure che necessiteranno di coperture non facili da trovare, sebbene possibili. In presenza di un debito pubblico del 150,8% del PIL nel 2021 e di stringenti vincoli di bilancio nonché sullo sfondo di una politica monetaria che sta tornando restrittiva per tenere a freno un’inflazione dell’eurozona prossima al 9%, il margine di manovra del prossimo ministro dell’Economia sarà ristretto.

Tuttavia, malgrado la navigazione richieda nocchieri esperti, l’orizzonte macroeconomico italiano non è necessariamente fosco. L’Italia ha infatti dei punti di forza invidiabili.

Innanzi tutto, una bilancia commerciale strutturalmente in attivo e un surplus di conto corrente a partire dal 2013. Quest’ultimo, positivo ma inferiore al 6% del PIL come consentito dal Trattato di Maastricht, pone l’Italia in una posizione di forza senza esporla alle critiche cui sono state soggette Germania e Paesi Bassi, le quali con surplus commerciali che per anni sono stati intorno all’8% del PIL hanno sforato il limite raccomandato dal Trattato esponendole alle (giuste) critiche di finanziare il proprio eccessivo avanzo commerciale con il debito dei compratori dei loro prodotti.

In secondo luogo, come ha ricordato il Presidente della Consob Paolo Savona il 21 giugno scorso, lo Stivale ha una posizione finanziaria netta attiva verso l’estero grazie all’eccesso di investimenti italiani fuori dei confini nazionali rispetto a quelli esteri in Italia. In altre parole, siamo noi a finanziare i nostri partner esteri e non viceversa. Come evidenziato da Federico Carli in una intervista del 1° settembre, “sembra crearsi una situazione paradossale in cui gli italiani finanziano l’estero e l’estero fa operazioni speculative in Italia”. Il prossimo governo sarà quindi chiamato a disinnescare questo paradosso.

Ciò richiama il terzo punto di forza: l’elevato risparmio privato, che ammonta complessivamente a 3.300 miliardi di euro, di cui 1.840 miliardi di depositi, 200 miliardi di obbligazioni e 2.000 miliardi di risparmio gestito da fondi di investimento e strumenti collegati. Considerando che il debito pubblico italiano è di circa 2.700 miliardi di euro, il risparmio privato degli italiani lo supera perciò del 22%. Non solo un salvagente di ultima istanza quindi, ma un grande tesoro che da anni fa gola a molti, compresi fondi di gestione e banche straniere.

Il risparmio depositato nei conti, in particolare, rappresenta una risorsa inutilizzata e, ora che la tassa regressiva dell’inflazione ha ripreso a mordere, destinata a depauperarsi. Una risorsa molto maggiore dei 270 miliardi di euro del PNRR, che rappresentano sì un’opportunità importante ma che non sono a titolo gratuito. Per inciso: questa è una ragione ulteriore per spendere bene i soldi del PNRR, rispettando i capitolati di spesa, la qualità della spesa ed i tempi preventivati.

Piuttosto che lasciare i risparmi a deprezzarsi nei conti, molto meglio sarebbe utilizzarli per sostenere investimenti infrastrutturali, digitalizzazione, potenziamento della rete energetica, ricerca & sviluppo e crescita dimensionale delle piccole e medie imprese italiane per consentir loro di entrare nei mercati esteri. Un passo nella giusta direzione è stato fatto con la creazione del Fondo Italiano d’Investimento di Cassa Depositi e Prestiti, i Piani individuali di risparmio e gli Eltif (Fondi europei di investimento a lungo termine). Ma essi non sono ancora sufficienti a sfruttare appieno la potenza di fuoco del risparmio liquido degli italiani.

Inoltre, secondo il bollettino della Banca d’Italia dello scorso agosto il debito cumulato italiano – dato dalla somma di debito pubblico e debito del settore privato ed escluso quello del settore bancario- è tra i più bassi d’Europa: 283% contro il 231% della Germania, il 374% della Francia e il 304% medio della zona euro. Una più equa rappresentazione del parametro “debito” di un Paese, che includa il debito del settore privato accanto a quello statale, e conseguentemente della sostenibilità delle sue finanze sarebbe una riforma dei trattati europei di cui l’Italia si è fatta da tempo portavoce e che il prossimo governo sarà chiamato a condurre in porto.

Ma l’inflazione ha anche risvolti positivi: essa aumenta il livello del PIL nominale e svaluta il livello del debito pubblico reale. Per questa ultima ragione essa non piace ai Paesi creditori, Germania in primis, oltre ad abbassare il rapporto debito/PIL.

C’è poi il quesito di quale sia il migliore mix di politica economica. Le politiche monetarie restrittive aumenteranno il costo del nostro debito pubblico ma sperabilmente indurranno le banche a concentrarsi sul core business del credito alle imprese e alle famiglie piuttosto che investire l’abbondante liquidità in titoli. La politica monetaria restrittiva dovrà probabilmente essere accompagnata da politiche fiscali espansive che controbilancino gli effetti recessivi del caro energia e della scarsità delle materie prime attraverso investimenti pubblici ad elevato moltiplicatore. È qui che il risparmio degli italiani può giocare un ruolo determinante insieme ai fondi del PNRR.

Se a tutto ciò si aggiunge lo “Strumento di protezione dalla trasmissione” (Transmission Protection Instrument) messo in campo dalla BCE per evitare shock asimmetrici (cioè che il rialzo dei tassi nei Paesi ad alta inflazione ed alta crescita come quelli del Nord Europa si propaghi a quelli a minore inflazione e minore crescita come quelli del Sud Europa), il declassamento dell’outlook dell’Italia da parte di Moody in “negativo” sembra pertanto prematuro e azzardato.

Gli assi nella manica dell’Italia non mancano. Il prossimo governo avrà l’arduo compito di giocarseli bene ai tavoli internazionali.

Gaetano Massara

Tags: #maastricht#pattodistabilitaecrescita#politicaeconomica#risparmidegliitaliani#trattatieuropeipnrr
Gaetano Massara

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