Cinque giorni ci hanno messo gli inglesi per ricomporre una crisi con le dimissioni del premier e la ritrovata maggioranza al nuovo rappresentante del partito conservatore, vincitore alle ultime elezioni.
È lo stesso numero di giorni che è stato indispensabile all’Italia per consentire a un governo che ha avuto il favore della maggioranza di entrare in Parlamento e verificare sul piano effettuale di avere i numeri.
L’incarico del presidente, il giuramento del presidente e dei suoi ministri, la discussione e votazione in Camera dei Deputati, la discussione e votazione al Senato. Una pletora che non si addice alle emergenze e ai tempi stretti per decidere che spesso si evocano nei dibattiti.
Giorgia Meloni ha accreditato su di sé l’epigrafe di “underdog”, sfavorita – tanto per continuare nel parallelismo col mondo anglosassone. È arrivata, oggi, dove nessuna donna in Italia era mai arrivata. Gli inglesi hanno avuto premier epocali come Margareth Thatcher, ma una che dimenticheremo molto presto come la Liz Truss recentemente dimissionaria e subito rimpiazzata.
Ma, nell’apoteosi del femmineo, era prevedibile che voci demolitorie arrivassero proprio dal mondo femminile. La capogruppo del PD Debora Serracchiani la definisce come a seguito degli uomini, volendo alludere probabilmente alla maggioranza maschile che compone il suo governo. E la risposta non si lascia attendere dalla Giorgia nazionale: “Le sembra che io stia un passo indietro agli uomini?”. E ancora: la libertà delle donne non si misura nel farsi chiamare “capatrena”. Le questioni sono sempre di sostanza, pare voglia far intendere.
E restando alle questioni fondamentali del funzionamento nella macchina delle decisioni che riguardano l’interesse pubblico Giorgia Meloni ha rispolverato un vecchio baluardo della destra: la repubblica presidenziale. Era ovvio si portasse dietro tante polemiche. Prima fra queste che tale richiesta è improvvida in uno stato di cose per cui gode di una maggioranza unica nella storia repubblicana. La facile risposta parte proprio da qui. Proprio perché arriva in “fase non sospetta” che la grande riforma costituzionale ha la possibilità di essere ratificata in una Bicamerale. Deve quindi incastonarsi in un sistema presidenzialista alla francese dove chi vince ha la garanzia di governare per cinque anni perché gode di una maggioranza certa.
Sarebbe una svolta che l’Italia non è riuscita ad imprimere dal 1994, quando entrò il nuovo meccanismo elettorale che temperava criteri di maggioritario con l’eterno proporzionale. Altre due riforme del sistema elettorale, messe in piedi unicamente per favorire chi in quel momento governava, hanno finito per legittimare sempre più l’assemblearismo tipico del Non-sistema-Italia.
E invece sempre gli inglesi tornano come emblema di capacità nel sapersi dare delle regole e prendere decisioni corrispondenti. Un fatto che riguarda sicuramente il loro modo di essere. Riguarda però anche le regole che si sono date. Aiutano! Ma anche quest’ultime fanno parte delle prime.
Il sistema presidenzialista sarà l’oggetto del contendere. Ma lo sarà solo se il governo attualmente in carica sarà effettivamente tale e non un qualcosa di transeunte, come ci ha abituato la nostra famigerata tradizione.