Questa settimana il gas naturale è stato scambiato a €113/MWh al TTF, il mercato olandese del gas usato come prezzo di riferimento in Europa. Un prezzo molto più basso del picco di €339/MWh del 26 agosto, ma ancora alto rispetto ai €43/MWh di un anno fa. Nella prima metà del 2022, il prezzo medio dell’energia elettrica per i consumatori residenziali nell’UE è stato superiore a 0,19 €/KWh rispetto a 0,13 €/KWh della prima metà del 2021.
L’energia rappresenta una grossa fetta della spesa degli europei, e ha portato il tasso di inflazione dell’Eurozona al 9,9% a settembre. Le imprese e le famiglie del Vecchio continente stanno assistendo a una contrazione dei margini e dei risparmi, il che in molti casi mette a rischio la loro sopravvivenza.
Le Banca centrale europea ha reagito all’inflazione, seppur tardivamente, con tre rialzi dei tassi. Nei prossimi mesi sono attesi nuovi rialzi, che peggioreranno la sostenibilità dei conti pubblici.
Con il gas naturale che rappresenta il 21% del mix energetico dell’UE, una dipendenza dalle importazioni di gas di quasi il 90% e il gas russo pari al 45% del gas importato nel 2021, l’UE è esposta alla volatilità dei prezzi dell’oro blu. Allo stesso modo, con un debito pubblico medio dell’87% del PIL e un disavanzo di bilancio medio del 3,6% del PIL previsto per quest’anno, l’Europa nel suo insieme non ha margini di bilancio per sostenere imprese e famiglie. Tuttavia, poiché le quote di gas nei mix energetici nazionali vanno dal 6% della Finlandia al 42% dei Paesi Bassi e i saldi fiscali dei paesi variano in modo significativo, la crisi energetica ha colpito i paesi europei in modo asimmetrico.
La natura della crisi
L’attuale crisi energetica è uno shock dal lato dell’offerta causato dalla carenza di un fattore di produzione chiave. Negli anni precedenti la pandemia c’era abbondanza di forniture di gas. Ciò spiega i prezzi bassi di allora. Poiché il gas russo raggiunge i mercati europei principalmente via gasdotti e poiché le infrastrutture per trasportare quel gas in Asia non sono ancora adeguate, l’eliminazione dell’Europa come mercato di destinazione per il gas russo ha semplicemente eliminato tali quantità dal mercato.
I recenti ribassi dei prezzi sono da molti attribuiti al successo dell’Europa nel riempire gli stoccaggi di gas insieme a un clima autunnale mite. Ciò ha indubbiamente allentato le tensioni sul lato dell’offerta e dato rassicurazioni sulla capacità dell’Europa di superare l’inverno con quantità sufficienti di gas.
Ma nel lungo termine i mercati prevedono carenza di gas. Ciò si riflette nei prezzi elevati dei contratti a termine. La corsa non coordinata dei paesi europei per accaparrarsi nuovi contratti di fornitura ha già consentito all’Europa di ridurre la propria dipendenza dal gas russo trasportato via tubo dal 41% al 9%. Tuttavia, queste forniture aggiuntive sono costose e molto probabilmente non saranno disponibili prima del 2023 o del 2024.
Con vincoli dal lato dell’offerta e prezzi insostenibili, è inevitabile che il mercato agisca in modo “darwiniano” espellendo le imprese e le famiglie più vulnerabili e provocando un calo della domanda. L’indice PMI manifatturiero dell’Eurozona ha infatti perso il 20% a settembre rispetto allo stesso mese del 2021.
La proposta della Commissione europea di ridurre il consumo di gas del 15% è un tentativo di frenare i prezzi agendo sulla domanda. Purtroppo, l’applicazione non rigorosa di tale misura ne ha finora pregiudicato l’efficacia.
Quindi, un calcolo molto semplicistico mostra che la quota del 40% di gas russo che manca all’Europa viene compensata dalla riduzione della domanda per via darwiniana e per via amministrativa.
Qual è dunque la soluzione?
Il mercato elettrico europeo
I mercati elettrici europei operano in regime di concorrenza perfetta secondo un “ordine di merito”. Il prezzo di vendita dell’elettricità è cioè determinato dal costo marginale sostenuto dall’ultimo impianto di produzione chiamato a immettere energia in rete, e gli impianti che producono a costi inferiori hanno priorità di dispacciamento. Gli impianti eolici, fotovoltaici e nucleari hanno costi marginali generalmente inferiori a quelli delle centrali a gas, a carbone o a biomasse e pertanto hanno priorità di dispacciamento rispetto ai secondi.
L’interconnettività della rete elettrica europea è relativamente buona. Ciò significa che qualsiasi differenza di prezzo tra un paese e i suoi confinanti determinerà una domanda di energia dal paese con il prezzo più alto a quello con il prezzo più basso. Qualsiasi tentativo di imporre i prezzi per via amministrativa è generalmente destinato a tradursi in un deflusso di energia. Il paese con prezzi fissati amministrativamente finirà quindi per sovvenzionare anche i consumatori del paese con prezzi più elevati. Questo è il caso della Spagna, che ha fissato un tetto di prezzo al gas naturale utilizzato come combustibile nelle centrali elettriche. I consumatori spagnoli, tramite lo Stato, rimborsano ai gestori delle centrali elettriche la differenza tra il prezzo di mercato del gas e il tetto. Anche i consumatori francesi, importando elettricità dalla Spagna, stanno beneficiando dei prezzi competitivi nel Paese iberico.
L’unico modo possibile per far funzionare i prezzi amministrativi è abbinarli a una parallela riduzione della domanda, volontaria o imposta attraverso il razionamento.
Le soluzioni dell’UE
Finora le istituzioni europee hanno avuto difficoltà a conciliare i diversi interessi nazionali in risposta alla crisi. Il 6 ottobre gli Stati membri hanno adottato un Regolamento del Consiglio su un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia. Le principali misure concordate sono quattro: un obiettivo di riduzione complessiva volontaria del 10% del consumo lordo di elettricità, con una riduzione obbligatoria del 5% nelle ore di punta; un tetto obbligatorio per i ricavi di mercato a 180 €/MWh per i produttori di elettricità che utilizzano le tecnologie inframarginali, come energie rinnovabili, nucleare e lignite; un contributo di solidarietà obbligatorio del 33% degli utili che eccedono un incremento del 20% degli utili imponibili medi annui del quadriennio precedente delle imprese attive nei settori degli idrocarburi; e la possibilità per gli Stati membri di fissare un prezzo dell’elettricità inferiore al costo.
Questa serie di misure rappresenta un primo progresso nel percorso di contenimento dei prezzi dell’energia elettrica. Tuttavia, non è sufficiente.
Il 18 ottobre la Commissione europea ha presentato una Proposta di Regolamento del Consiglio per il rafforzamento della solidarietà attraverso un migliore coordinamento sugli acquisti di gas, gli scambi di gas transfrontalieri e la fissazione di parametri di riferimento affidabili per i prezzi. Allo stato attuale, il consenso sembra essere stato raggiunto solo su alcune misure.
Una è l’acquisto congiunto vincolante di gas per un volume equivalente al 15% del fabbisogno nazionale di riempimento degli stoccaggi. Ciò consentirebbe all’Europa nel suo complesso di acquistare almeno 13,5 miliardi di metri cubi di gas prima della stagione invernale 2023-24.
Un’altra misura riguarda la creazione di un nuovo benchmark per il prezzo del gas naturale liquefatto complementare al TTF.
Sebbene sembri esserci un accordo sulla creazione di un corridoio dinamico del prezzo del gas, non c’è ancora consenso sul limite dinamico del prezzo e sul suo meccanismo di correzione. Da un lato, Germania e Paesi Bassi accetterebbero l’introduzione di un tetto di prezzo limitato al solo gas russo, poiché questa misura non rischierebbe di dirottare il gas americano o mediorientale dall’Europa. Dall’altro, Italia e Francia, insieme ad altri 14 stati, sostengono l’applicazione di un tetto su tutto il gas indipendentemente dalla sua origine, sostenendo che un tetto solo sul gas russo non avrebbe un impatto positivo sui prezzi.
Altre misure sono ancora più controverse. È il caso di un tetto massimo al prezzo del gas utilizzato nella produzione di elettricità, già adottato da Spagna e Portogallo come spiegato sopra. Secondo questo modello, precisa il documento di lavoro della CE, «le centrali sovvenzionate sarebbero obbligate a ridurre il prezzo a cui vendono l’elettricità dell’importo che hanno ottenuto tramite la sovvenzione. La logica del meccanismo è che la sovvenzione non solo abbassa il prezzo a cui le centrali a gas vendono la propria energia elettrica, ma deve ridurre anche il prezzo complessivo di mercato, riducendo così i ricavi di tutti gli impianti che producono energia elettrica utilizzando tecnologie inframarginali». Considerando la proposta di un prezzo del gas di 100-120 €/MWh a carico dei gestori delle centrali, il meccanismo comporterebbe un beneficio netto di ca. 13 miliardi di euro oltre al beneficio di 70 miliardi di euro derivante dal tetto massimo di 180 €/MWh sui ricavi degli impianti inframarginali.
Tuttavia «si stima che anche a questo livello di prezzo la domanda di gas aumenterà di 5-9 miliardi di metri cubi a causa delle esportazioni fuori UE».
Inoltre, prosegue il documento, il «costo netto della misura per gli Stati membri è funzione della quantità di centrali a gas presenti in ciascuno Stato membro. Gli Stati membri che dipendono fortemente dal gas per la produzione di energia elettrica, come Germania, Paesi Bassi e Italia, sosterrebbero i costi più elevati per i sussidi necessari. Gli Stati membri che sono importatori netti di energia elettrica prodotta da gas beneficerebbero invece di elettricità sovvenzionata da altri Stati membri. Si stima che il maggior beneficiario netto sarebbe la Francia».
Per gestire tali effetti distributivi tra Stati membri, conclude il documento, «il modo più efficace sarebbe creare uno schema europeo che ridistribuisca i costi della misura tra tutti gli Stati membri». Ma ciò richiederebbe un accordo politico che per il momento non c’è.
Inoltre, come modo duraturo per mitigare l’impatto dei prezzi elevati del gas sulle bollette elettriche, la CE propone un disaccoppiamento del mercato elettrico basato su fonti rinnovabili e altri generatori inframarginali dal mercato elettrico basato sulla generazione da gas. All’interno del primo mercato, i produttori sarebbero remunerati con contratti per differenza, indipendentemente dal prezzo marginale, mentre nel secondo mercato gli impianti a gas competerebbero con le tecnologie di accumulo e gestione della domanda. In entrambi i mercati il diritto al dispacciamento verrebbe assegnato mediante gare aperte.
Interessi nazionali confliggenti
In risposta alla crisi, gli Stati hanno adottato piani autonomi e non coordinati. Le misure adottate si riferiscono a quattro tipologie principali: interventi universali per la riduzione dei prezzi (riduzione di accise sui carburanti e sconti sulle bollette), misure rivolte alle fasce più fragili (bonus pagati in base al reddito), misure a sostegno delle imprese (crediti d’imposta o garanzie statali) e interventi diretti degli Stati nel settore energetico (rifinanziamenti e nazionalizzazioni).
Una misura introdotta in quasi tutti i Paesi è lo sconto carburante o il taglio delle accise e dell’IVA. Per ridurre il costo della bolletta sulle famiglie, Italia e Regno Unito hanno scelto di erogare bonus solo alle famiglie più vulnerabili. Germania, Francia e Spagna invece hanno introdotto misure come il tetto al prezzo, che tagliano i costi indiscriminatamente per tutti.
La Germania ha inoltre annunciato l’introduzione di un Fondo di stabilizzazione economica da 200 miliardi di euro. Esso fissa un tetto massimo di prezzo del gas, con lo Stato che finanzierà la differenza tra il prezzo di mercato e il tetto massimo per l’80% del consumo medio di gas dell’anno precedente e il consumatore che dovrà sostenere l’intero prezzo di mercato per il consumo superiore all’80% del consumo dell’anno precedente. Il piano tedesco è stato criticato in quanto è un “bazooka” che distorce il mercato europeo. Esso però ha anche il merito di sostenere famiglie e PMI e incentivare il risparmio energetico.
Il mix di soluzioni necessarie
È quindi chiaro che una soluzione alla crisi energetica richiede una combinazione di misure.
Il primo pilastro è rappresentato dalle regole del mercato energetico. Le misure preparate dalla CE sarebbero utili se approvate e attuate rapidamente. In aggiunta, l’adozione da parte degli Stati di un meccanismo come quello tedesco concilierebbe il sostegno economico al risparmio energetico.
Il secondo pilastro è la politica economica. Nell’attuale contesto di stagflazione, la politica monetaria deve essere restrittiva. Pertanto, la politica fiscale dovrebbe mirare ad alleviare la povertà energetica. Un Fondo di stabilizzazione a livello europeo, per esempio sulla falsariga dello Sure, come proposto dai commissari Paolo Gentiloni e Thierry Breton, contribuirebbe a ristabilire condizioni di parità nel mercato comune. L’utilizzo dei 40 miliardi di euro non spesi dei Fondi strutturali 2014-2020 potrebbe essere parte della soluzione.
Il terzo pilastro è la politica energetica, il cui mix deve essere il più ampio possibile. Un aumento dell’estrazione di idrocarburi laddove non pericoloso – escluse quindi le trivellazioni in Alto Adriatico, come previsto dallo schema di articolato approvato dal governo italiano – un potenziamento degli impianti di rigassificazione e stoccaggio, un’accelerazione degli investimenti nelle energie rinnovabili, nonché il passaggio a un principio di neutralità tecnologica più pragmatico rispetto alla politica delle emissioni zero e l’inserimento del nucleare di nuova generazione nel mix energetico sono tutti ingredienti necessari.
Il quarto pilastro è la politica europea per il Mediterraneo. L’intensificazione della cooperazione con i nostri partner mediterranei, africani e mediorientali è una priorità che non può più essere rimandata. Rilanciare l’Unione per il Mediterraneo sarebbe un passo logico. In caso contrario, devono essere perseguite nuove forme di cooperazione.
C’è ancora molto lavoro da fare per un accordo europeo completo ed efficace. Se gli stati europei non agiranno in modo rapido e coordinato, il mercato imporrà la sua selezione darwiniana.
Gaetano Massara