AGI – “L’Italia sta scomparendo”: così Elon Musk ha risposto su Twitter a un messaggio di un utente sul calo di nascite in Italia evidenziato oggi dai dati Istat.
Nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità, attestandosi a 393mila. Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento, il calo è di circa 184mila nati, di cui circa 27mila concentrate dal 2019 in avanti. Lo rileva l’Istat nel suo ultimo report sugli indicatori demografici, sottolineando che “questa diminuzione è dovuta solo in parte alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle coppie. In realtà, tra le cause pesano tanto il calo dimensionale quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni)”.
I 22mila ultracentenari
Il numero stimato di ultracentenari (100 anni di età e più) raggiunge nel 2022 il suo più alto livello storico, sfiorando la soglia delle 22mila unita’, oltre 2mila in più rispetto all’anno precedente. Lo rileva l’Istat nel suo ultimo report sugli indicatori demografici.
Nel corso degli ultimi venti anni, grazie a un incremento di 15mila unita’, il numero di ultracentenari è triplicato. È stato definitivamente superato il quinquennio 2015-2019, quando si è assistito a un temporaneo declino degli ultracentenari per via del graduale ingresso in tale contingente dei nati tra lo scoppio del primo conflitto mondiale e la pandemia da influenza spagnola, ovvero di soggetti non solo meno numerosi in origine, ma anche sottoposti a regimi di mortalità più rilevanti nel corso della successiva esistenza.
Un italiano su quattro ha più di 65 anni
Un italiano su quattro ha almeno 65 anni secondo l’ultimo report Istat sugli indicatori demografici. Nonostante l’elevato numero di decessi avvenuto in questi ultimi tre anni, oltre due milioni e 150mila, di cui il 90% riguardante persone con più di 65 anni, il processo di invecchiamento della popolazione è proseguito – spiegano i ricercatori – portando l’eta’ media della popolazione da 45,7 a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023.
Dunque, in questo periodo la popolazione residente è mediamente invecchiata almeno di ulteriori otto mesi. La popolazione ultrasessantacinquenne, che nell’insieme raccoglie 14 milioni 177mila individui a inizio 2023, costituisce il 24,1% della popolazione totale contro il 23,8% dell’anno precedente.
Le nascite: le differenze tra Nord e Sud
Dopo il lieve aumento del numero medio di figli per donna verificatosi tra il 2020 e il 2021, riprende il calo dell’indicatore congiunturale di fecondità, il cui valore si attesta nel 2022 a 1,24, tornando così al livello registrato nel 2020. Prosegue quindi la tendenza alla riduzione dei progetti riproduttivi, già in atto da diversi anni nel nostro Paese, con un’età media al parto stabile rispetto al 2021, pari a 32,4 anni.
La diminuzione del numero medio di figli per donna riguarda sia il Nord sia il Centro Italia, dove si registrano valori rispettivamente pari a 1,26 e 1,16 (nel 2021 erano pari a 1,28 e 1,19). Nel Mezzogiorno, invece, si registra un lieve aumento, con il numero medio di figli per donna che si attesta a 1,26 (era 1,25 nell’anno precedente). L’età media al parto è leggermente superiore nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9) rispetto al Mezzogiorno.
Si assiste a una riduzione delle differenze tra Nord e Mezzogiorno, mentre il Centro continua ad avere una fecondità sensibilmente più bassa rispetto alle altre due ripartizioni. Il Mezzogiorno è la sola ripartizione che prosegue la risalita iniziata lo scorso anno. Peraltro, il calo registrato nel Nord e l’aumento nel Mezzogiorno fanno sì che nel 2022 i livelli di fecondità di queste due ripartizioni siano identici.
Matrimoni in lieve aumento
Il numero dei matrimoni registra un lieve aumento, con un tasso che passa dal 3,1 al 3,2, ritornando così ai livelli pre-pandemia. Il tasso più elevato si riscontra nel Mezzogiorno (3,6, in diminuzione rispetto al 3,8 del 2021) mentre nel Nord e nel Centro i livelli sono inferiori (3 per entrambe le ripartizioni, in leggero aumento rispetto a 2,7 e 2,6 del 2021). Dopo il crollo del 2020, il Mezzogiorno presenta l’aumento maggiore di nuzialità negli ultimi due anni; tendenza che si associa a quella altrettanto positiva della fecondità che ha caratterizzato questa ripartizione.
Le differenze tra Regioni italiane
La regione con la fecondità più alta è il Trentino-Alto Adige con un valore pari a 1,51 figli per donna. Le regioni a seguire, Sicilia e Campania, registrano valori molto più bassi, rispettivamente 1,35 e 1,33. In questo insieme di regioni le madri sono mediamente più giovani, con valori dell’età media al parto compresi tra il 31,4 della Sicilia e il 32,1 del Trentino-Alto Adige. Regioni con fecondità decisamente contenuta sono il Molise e la Basilicata, con un valore di 1,09 figli per donna, ma su tutte spicca la Sardegna che, con un valore pari a 0,95, è per il terzo anno consecutivo l’unica regione con una fecondità al di sotto dell’unità.
Nel Mezzogiorno, che presenta un valore del tasso di fecondità totale di 1,26, solo Sicilia, Campania e Calabria hanno una fecondità al di sopra della media nazionale (rispettivamente 1,35, 1,33 e 1,28 figli per donna), è invece al di sotto nelle altre cinque regioni. Nel Nord, che registra la stessa fecondità del Mezzogiorno, solo Piemonte (1,22) e Liguria (1,20) presentano una fecondità al di sotto della media nazionale, nelle altre sei è invece maggiore di 1,24.
Nel Mezzogiorno si trovano le regioni con la più elevata età media al parto, Basilicata (33,2), Sardegna e Molise (32,9). Si tratta delle regioni con il più basso tasso di fecondità, la cui diminuzione è legata proprio alla continua posticipazione dell’esperienza della maternità che di fatto si tramuta sempre più in una definitiva rinuncia. Scendendo a livello provinciale, il primato della fecondità più elevata spetta alla provincia di Bolzano/Bozen (1,65), seguita da Gorizia (1,45), Crotone (1,44), Ragusa (1,43), Palermo (1,42) e Catania (1,41). Il primato della fecondità più bassa spetta alle province sarde, con ben tre province su cinque, Cagliari, Sud Sardegna, Oristano, al di sotto di un figlio per donna (0,93 la prima, 0,90 le ultime due).
Massimiliano Pirandola