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L’ Odissea di Schettino in Cassazione

Sfuggiti come sabbia tra le dita i fatti che poteveno essere contestati nei gradi di giudizio precedenti, ora rimane soltanto alla parti in causa la possibilità di contestare il diritto su cui si fonda la sentenza di appello

Alberto Zei by Alberto Zei
31 Ottobre 2016
in Politica
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L’ Odissea di Schettino in Cassazione
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 di AlbertoSfuggiti come sabbia tra le dita i fatti che potevano essere contestati nei gradi di giudizio precedenti, ora rimane soltanto alle parti in causa la possibilità di contestare il diritto su cui si fonda la sentenza di appello

Nel posto sbagliato – Il convincimento  più radicato  della maggior parte delle  persone coinvolte, anche soltanto emotivamente,  nella tragedia della Concordia consiste nel considerare che Schettino nella sua qualità  di   comandante di una nave da crociera e con oltre 4000 persone al bordo,  non doveva inoltrarsi così verso terra, fino Senza titolo-1a perder il controllo e finire sugli scogli. Ovviamente la ragione che tutti quanti conosciamo sta nel famigerato “inchino” che fino a qualche anno fa le Compagnie marittime non disdegnavano, ovviamente ai fini della pubblicità delle proprie navi soprattutto di crociera, che talvolta sfilavano maestose e sicure anche dove  si riteneva non osassero transitare. Non è quindi il fatto dell’inchino di per sé, imputabile a Schettino, ma quello di essersi avvicinato alla costa oltre la ragionevolezza, fino a non riuscire a tirarsi fuori dal vicolo cieco nel quale, come comandante irresponsabile aveva autonomamente condotto la Concordia, sino a causarne la collisione su uno scoglio.

Questo è il delitto principale da cui per effetto domino, vengono generati gli altri. Non importa poi, come sarebbe facile dimostrare sotto il profilo tecnico e della navigazione marittima, che tutto quello che successivamente  è avvenuto non è certamente imputabile né all’equipaggio né al Comandante ma alla natura della falla per la quale i sistemi di emergenza e di sicurezza della nave non erano certamente adeguati alla circostanza.

Tutto a bordo era bloccato – La ragione di tanto disastro va ricercata in quel critico punto di  impatto che la Concordia ha subìto. La cosiddetta “via d’acqua”, che la lunga falla ha aperto sotto il livello di galleggiamento ha immediatamente allagato la sala macchine, inondando interamente i locali dove si trovavano i potentissimi motori elettrici per la propulsione e per i servizi di bordo. Si tratta di due motori di 40 milioni di watt  ciascuno e che necessitano per il loro funzionamento, (qui sta  il tallone di Achille) della elevatissima tensione di 11.000 Volt.   A questo punto, sarebbe bastato, si fa per dire, un bicchiere d’acqua di mare rovesciato nei punti critici di contatto, per mettere in corto circuito l’ intero sistema elettrico  della nave. Figuriamoci se con una falla di tale entità, le paratie stagne che oltretutto  non funzionavano regolarmente, avrebbero potuto evitare  qualcosa del genere.

Anche le  luci che illuminavano alla meglio la nave durante il naufragio, non erano quelle alimentate dal generatore di emergenza perché anche questo era andato fuori uso.     Erano infatti, le lampade  a  bassa tensione, ossia, a batterie,   come fossero quelle  di un’automobile in panne, per rendere l’idea, che hanno rischiarato la Concordia durante il naufragio.In quella tragica notte, tutti i servizi della nave  erano fuori uso  per mancanza di alimentazione elettrica. Una situazione del genere coinvolgeva non solo i dispositivi operativi di emergenza, ma i servizi essenziali come  l’ intero impianto di  illuminazione e quello degli ascensori che sono rimasti bloccati, intrappolando  fino alla morte per annegamento, chi si trovava sopra.

Senza titolo2 Nel  punto sbagliato – Tuttavia, la responsabilità morale del  comandante  rimane la medesima: Schettino non doveva trovarsi in quel punto,  poiché tutto quello  che è avvenuto, indipendentemente dalle specifiche responsabilità dell’equipaggio o dell’armatore o del costruttore, secondo l’opinione della stragrande maggioranza della gente, è attribuibile proprio a Schettino.  Da qui si comprendono anche gli apprezzamenti professionali su colui che non è stato in grado non solo di gestire l’emergenza rappresentata dalla vicinanza dello scoglio, ma neppure di prevedere i limiti di sicurezza, oltre i quali non avrebbe dovuto nemmeno  ipotizzare il percorso di  rotta di una nave della stazza di 114.500 tonnellate,  come la Concordia.

Queste sono sostanzialmente le ragioni per cui la grandissima parte dell’opinione pubblica ritiene Schettino responsabile di questa tragedia. Infatti, a fronte di espressioni di giudizio non prive di emotività per quanto riguarda la collisione e la successiva deriva nave fino all’incagliamento sulla costa del Giglio,  si prescinde da questioni personali circa l’ abbandono nave. D’ altra parte, trattare  anche soltanto  le circostanze descritte, non significa sorvolare sui fatti, poiché la pena di 15 anni di detenzione sui 16 inflitti a Schettino anche nel secondo grado di giudizio si riferiscono proprio a quanto viene qui commentato; mentre per il discusso modo di abbandono nave da parte di Schettino, la pena comminata è di un solo anno. 

Senza titolo 3

 

La linea celeste delimita la distanza delle  0,5 miglia dalla costa; quella verde è quella delle 0,4 miglia  della telefonata con Palumbo; la linea blu è la batimetrica dei 100 metri di fondo; la linea rossa è la rotta dell’ inganno  subito da Schettino.

 La presunta autorevolezza – Prima di tornare alle circostanze precedenti all’impatto della Concordia sulle secche delle Scole,  va meglio compreso  che cosa è avvenuto a bordo e qual è stato l’atteggiamento di Schettino non solo nelle circostanze precedenti la collisione. E’ stato infatti,  soprattutto nel corso dei precedenti viaggi  che  l’ equipaggio ed in particolare il Team di coperta,   subiva  passivamente le decisioni  di un comandante che non concedeva niente di ciò che allo stesso equipaggio spettava, circa le valutazioni professionali relative alle  problematiche di viaggio.  Schettino infatti, valutava,  giudicava e imponeva a suo insindacabile giudizio,  ciò che poi faceva.  Si evita ora,  di riportare per ragioni di lunghezza articolo, alcuni episodi chiave di questo genere di comportamento, ma non di errori,  e delle reazioni degli Ufficiali dello staff con i quali Schettino, come detto,  non intendeva condividere alcuna opinione diversa dalla propria.

Mentre  questo avveniva quotidianamente durante la navigazione alla luce del giorno o nel  buio della notte, si fa per dire, ma comunque senza alcun sotterfugio da parte di Schettino, tutti ne erano consapevoli e così come di solito avviene quando si condivide con qualcun altro una frustrazione da parte di un comune “avversario”, subentra la solidarietà. Infatti così è avvenuto, come si rileva dai riscontri delle dichiarazioni spontanee, delle interrogazioni presso gli inquirenti, degli  episodi riportati dalla cronaca riguardante la sprezzante autonomia del comandante Schettino;  tanto che il buon viso a cattiva sorte che l’equipaggio assumeva nei confronti del proprio comandante, veniva confuso  da quest’ultimo come un atto di acquiescenza alla sua autorevolezza.  Schettino infatti, non ha mai compreso simbolicamente che quando i giunchi si flettono sotto le raffiche del vento,  ciò non significa che si sono piegati, tanto che a tempesta placata, sono più temprati di prima. Questa sorta di apparente acquiescenza dello staff di comando di fronte ad un comportamento ritenuto arrogante, determina infatti, per le persone frustrate  nelle loro aspettative, un atteggiamento emotivo che in mancanza di immediate reazioni, in psicologia si chiama “ aggressività passiva“. Si accenna qui soltanto che questa impostazione mentale,  si manifesta,  attraverso  le tipiche azioni omissive  rispetto a quanto si desidererebbe fare ma che non si fa  per  evitare  ritorsioni dalla  persona che si vorrebbe punire.

Senza titolo 4

 

 

Si tratta della rappresentazione della rotta richiesta da Schettino e di quella effettivamente percorsa

In modo analogo, l’ attesa del team e dell’equipaggio di coperta che non si sentivano in grado di agire o reagire,  alle contrarietà incontrate nei rapporti con il comandante  per timore reverenziale, ecco  che potrebbe finalmente essere coronata dalla occasione favorevole.                                   Schettino è ancora in sala pranzo dove continua a conversare amenamente con gli ospiti; mentre l’equipaggio impegnato in plancia in quella fredda notte di inverno, lo sta ancora aspettando.  Finalmente dopo qualche sollecitazione a salire sul ponte di comando, compare Schettino;  il comandante è  in compagnia di ospiti, anche se questi  non avrebbero potuto accedere  durante le manovre. A incrementare  in  quella notte,   la serie delle circostanze relazionali negative  è stato’ lo stesso equipaggio che attendeva il comandante in atteggiamento, da quest’ ultimo  definito, “di  inaspettato cronico disagio”. Questi, prima telefona all’ ex Comandante Palumbo per informarsi sui fondali  della zona di mare dove intendeva condurre la Concordia; poi  prende  personalmente il comando della nave, avvalendosi ovviamente del timoniere che esegue i comandi impartiti. Ma l’equipaggio, ossia lo staff presente in plancia, assume inopinabilmente  un comportamento omertoso, non avvisando Schettino  sul raggiungimento del punto nave di 0,5 miglia da costa, quantunque  avesse chiesto di essere informato a questa distanza. Il presuntuoso “Leone”   viene quindi lasciato ferirsi  da solo.

Senza titolo 5


La posizione inclinata sulle rocce lascia evincere che se l’ evacuazione fosse avvenuta in mare aperto la Concordia prima di affondare si sarebbe ribaltata con le conseguenze facilmente immaginabili

 Strane coincidenze – Quella  medesima mattina del 11 gennaio, data del naufragio, Schettino aveva redatto  in un rapporto alla Società Armatrice sull’attività professionale del Primo Ufficiale Ambrosio,  la di lui  inidoneità all’avanzamento di grado di comandante. La notizia di quello stesso giorno  non deve aver fatto a d’ Ambrosio un effetto diverso da quello immediatamente intuibile.  L’atteggiamento  di Schettino non poteva infatti,  non generare una progressiva frustrazione  professionale tra lo staff degli ufficiali di coperta addetti al controllo della navigazione, quando è lui stesso   che impone a tutti quanti le proprie irrevocabili decisioni. A questo  poi va aggiunto, come detto, l’ omesso  riporto  del  superamento del limite richiesto di 0,5 miglia, la disinvolta osservazione della manovra da parte dei tre  ufficiali di coperta, la mancata segnalazione della eccessiva  penetrazione della nave  verso terra. Se ciò non bastasse,  a questo punto  subentra anche il timoniere  Rusli.  Questi, dopo il congruo periodo di addestramento per l’esercizio di timomiere con relativo esame superato dell’attività a cui gli è preposto, ovvero, quella di timoniere  e dopo un altrettanto, si presume, congruo  periodo operativo al governo di una nave di prestigio come la Concordia,  diviene improvvisamente refrattario ai comandi che Schettino impartisce.

Gli errori della buona fede –  Schettino tutto questo non l’ha minimamente immaginato e neppure creduto successivamente dopo il disastro,  quando di fronte alla Magistratura non ha neanche concepito il fatto ormai assodato, che non era stato lui a condurre la nave sugli scogli ma il timoniere Rusli con tutti i travisamenti dei comandi impartiti. E questo, quando sarebbe stato molto facile e anche emotivamente comprensibile, addossare ad altri, se lo avesse immaginato, la responsabilità delle manovre eseguite che non corrispondevano, così come è facilmente dimostrabile dalle registrazioni sulla scatola nera, a quelle da lui stesso impartite.   Tutto questo non è stato  però,  contestato da Schettino a difesa di sé stesso, nella sua qualità di imputato, ma al contrario, stando alle  sue  stesse dichiarazioni,  egli ha continuato a ritenere per molto tempo ancora dopo il naufragio,  di essere considerato a bordo la massima autorità a cui nulla poteva e doveva essere rifiutato; questo  in particolar modo dal suo equipaggio, da cui riteneva di essere amato e ammirato professionalmente per le decisioni che sapeva assumere, senza necessità di alcun suggerimento. statua schett.

Occasione  travisata  – Non sarebbe stato difficile per la difesa già dal primo grado di giudizio, affrontare questo tema; mentre al contrario, vi sono state da parte dello stesso Schettino grandi difficoltà psicologiche  nell’ acquisizione della consapevolezza, di essere stato indotto in inganno proprio dal personale di bordo su cui non  credeva di esercitare solo timore reverenziale.

Conseguentemente la sua linea di difesa in Tribunale, non è stata quella di aver subito un raggiro dal proprio personale sulla distanza da terra in cui la Concordia si trovava quella notte. Infatti l’ inganno consiste nell’ aver omesso di riferire, come dallo stesso richiesto, la distanza delle 0.5 miglia dalla costa, o l’effettiva distanza di  rotta in cui la Concordia si trovava dalle coste del Giglio. A maggior ragione la  circostanza della assoluta estraneità dell’ evento  nella linea di difesa  di Schettino, non è stata formalizzata  in modo chiaro,  neppure nelle fasi successive del processo.

Quale  corresponsabilità – Non si trattava infatti, di corresponsabilità dell’equipaggio per  la avvenuta collisione sulle rocce delle Scole, come in effetti la stessa difesa ha evidenziato, ma della  totale  responsabilità  del Team di coperta e del timoniere  che non  poteva essere imputata  al comandante. Mentre  infatti, Schettino ancora attendeva ciò che l’equipaggio ha evitato di fargli sapere,  il timoniere commetteva una serie di otto errori di manovra rispetto ai comandi ricevuti fino all’ultimo, se non fosse bastato, invertendo la destra con la sinistra, fino alla collisione.  Senza titolo-7

Quindi, se Schettino  si è trovato di fronte ad una situazione di pericolo a causa della  rotta impartita alla nave ancor prima che assumesse personalmente il comando, non è lui corresponsabile di questo evento in quanto la piena responsabilità cade   unicamente sugli  autori  dell’omissione; omissione sulle cui conseguenze  forse nessuno aveva  concepito che si verificassero nel modo in cui l’evento si è manifestato. Sarebbe stata forse,  sufficiente una severa lezione per ridurre  il  delirio di grandezza professionale di Schettino. E’ quindi ragionevole pensare  che soltanto questo,  i suoi  antagonisti avevano improvvisato in vista  dell’ occasione favorevole, al di là della intenzione della tragedia che  nella realtà  è avvenuta. Ma le conseguenze non sembra giusto attribuirle al destinatario di tanto inganno.   Ecco perché Schettino non soltanto non è colpevole,  ma  è lui stesso la trentacinquesima  vittima del disastro.

Alberto Zei

Alberto Zei

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