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«La percezione cosciente del dolore supera il senso stesso del pathos»

Galleria Spazio40 presenta "Io sono Frida". In mostra dal 11 al 17 marzo

Redazione by Redazione
10 Marzo 2014
in Senza categoria
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«La percezione cosciente del dolore supera il senso stesso del pathos»
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Io sono Frida

Già durante lo scorso luglio, il maestro Gian Paolo Berto con la partecipazione di molti artisti aveva riscontrato un grande successo di pubblico in occasione della Mostra”Per Frida”, tanto da protrarla per tutto il mese. 

Berto ama così tanto Frida Kahlo, come artista e come donna, che torna in collaborazione della Galleria Spazio 40, a curare una nuova Mostra che La vedrà protagonista assoluta.  

La sera del 14 marzo nel corso della Mostra “IO sono FRIDA”, dallo spettacolo “Una Rondine dal Messico” di Priscilla Giuliacci, Maria Grazia Adamo darà voce alla grande artista messicana Frida Kahlo.

Intervallata dalla musica e dal canto di quattro interpreti: Fabiana Galasso, Andrea Mastromattei, Priscilla Giuliacci e Luis Alberto Alvarez, Frida si racconta aggirandosi negli spazi della Galleria Spazio40 tra le opere esposte che ritraggono il suo volto. A lume di candela in una atmosfera magica celebriamo la grande donna e drtista Frida Kahlo.

Uno sguardo alle opere di Frida, ne riportiamo la stupenda nota critica di Gerardo Lo Russo: 

«E’ un linguaggio che tocca la profondità dell’animo nel bene e nel male. Nel bene perché incute tenerezza, compassione, solidarietà.

Nel male perché ci si sente impotenti di fronte alla testimonianza

che il mondo è fatto di aspetti a volte brutali, a volte negativi, a volte ingiusti, comunque angoscianti.

E’un linguaggio diretto, popolare e genuino, che non riserva mezzi toni, né pare volersi accattivare consensi della critica o del mercato. 

Testimonia ciò che è la sua visione del mondo, che deriva solo in parte dalla propria condizione di sofferenza. Piuttosto, pare voler fare della propria esperienza, un insegnamento di vita, un esempio per cercare altro. Pare voler mettere in risalto le angosce degli animi umani in genere, a prescindere dalla tipologia, dalla temporaneità e dal contesto sociale. Perciò prende tanto, perciò il suo è un messaggio universale.

Si potrebbero dire tante cose: che la particolare potenza espressiva è dovuta alla condizione di essere donna, all’incidente subìto, o alla consapevolezza di credere in qualche ideale irraggiungibile. Ma si farebbe torto alla dimensione intellettuale ed artistica del personaggio Frida Kahlo. Ho preso, come esempio, una foto pubblicata su un giornale dell’epoca in cui lei compare a braccetto con il suo partner.

Lei appare come se fosse un’edera abbarbicata ad una quercia gigantesca. Nella foto l’impaginatore, paradossalmente, ha scontornato finanche il volto di lui e l’ha evidenziato ponendolo fuori dall’ingombro rettangolare. Frida al confronto, già figura esile, appare ancor più minuta, quasi come se fosse in uno stato di sudditanza psicologica, come se la coppia fosse composta da pesi e misure diverse dei due esseri umani.

Frida prima dell’incidente era già consapevole di essere “qualcosa” di diverso in rapporto all’altro o al sistema sociale o alla natura circostante. E non poteva accettarlo perché nella sua visione, il rapporto sentimentale con la vita doveva essere di tipo totalizzante, in cui uno è tutto e tutto è uno. In quella visione la ricerca di conoscenza non poteva limitarsi alle sovrastrutture dell’esistenza quotidiana.

Per Frida, viceversa, pare esserci una struttura spirituale, un’essenza che trascende le apparenze, che va oltre e si ritrova vicino alla visione misterica della vita. E forse, in ogni pennellata c’è un fuoco e un furore che paiono chiedersi: perché? Perché le domande di ideale sono senza risposta? Perché a tanto amore non corrisponde altrettanto amore, perché le ingiustizie del mondo ricadono indiscriminatamente sul popolo dei buoni?

E giù di lì, in un clima di disperazione vera, che non sarebbe potuta apparire se non con la potenza espressiva del segno. Basta leggere nei suoi occhi:

l’inquietudine dell’animo buca il resto della maschera umana, così senza gridare, senza piangere, come per dire che la dimensione dei sentimenti è di gran lunga più importante degli aspetti materiali, contingenti e fisiologici.

La crudeltà della vita sta nell’indifferenza di fronte ad un cuore spezzato, ad un cactus dilaniato, ad un vestito trapunto dai colori pungenti. La visione dell’artista pare accedere verso la profondità dell’essenza dei sentimenti e vuole testimoniarlo a tutti i costi. Così amore, gelosia, desiderio, repulsione sono i motori che fanno girare il mondo. Il resto è composto da semplici espedienti che arredano il percorso della vita terrena.

Lei ha lo strumento per dimostrarlo: l’arte dei segni e dei simboli. Con essi Frida scarnifica il corpo e ritaglia i vestiti a suo piacimento, ma in modo razionale e consapevole, nonostante che di primo acchito sembri usare un linguaggio viscerale. In ogni tratto dei suoi lavori, infatti, e perfino in quelli delle foto e degli scritti si percepisce che la sua ricerca intende elaborare un tipo di messaggio che va oltre le correnti estetiche e le tecniche espressive. Lei pare aver avuto il dono o se vogliamo la pena di dover indagare nelle profondità nascoste della condizione umana, dietro le maschere delle apparenze, a contatto diretto con la sofferenza fisica, psicologica ed intellettiva. Il contributo, perciò, prima ancora che di tipo artistico o culturale è di tipo umanistico, perché documenta una testimonianza vera, reale e vissuta in prima persona.

Più che farci sognare un viaggio fantastico o immaginifico verso visioni estatiche, avveniristiche od alternative, Frida ci offre l’altra faccia della medaglia della potenza dell’arte: renderci consapevolmente impotenti di fronte al non poter far niente per modificare il destino crudele degli eventi. L’opera di Frida è una Via Crucis psicologica dell’animo umano, un Urlo di Munch a cui non segue una risposta o una soluzione.

Il messaggio che ci offre non è una richiesta di aiuto, quanto l’estrinsecazione di un dato di fatto, la conoscenza acquisita con la forza di volontà di chi ha visto, vissuto e capito e desidera fortemente comunicarne la potenza espressiva.

Perciò incute un maggiore sgomento, quasi come se stesse attaccando le nostre coscienze che rifuggono dalla idea dello star male. Ma per fortuna ci possiamo ancora consolare, poiché, così come l’Arte crea l’Enigma, l’Umanità opera sempre per rifugiarsi in alternative future. Frida è uno stimolo per modificare lo stato degli eventi che ci fanno soffrire».

Redazione

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